A Londra, per gli antichi si
era schierato sir Wiliam Temple, per il quale Swift lavorava. Che in difesa
degli antichi schierava gli autori – mentre ai moderni assegnava i critici. E i
modeni diceva nani, che le spalle possenti degli antichi portavano. Erano gli
anni, fine Seicento, in cui Swift andava anche componendo la “Favole della
botte” (“A Tale of a Tube”), che pubblicherà ai primi del Settecento. Era un
critica dei modi di essere, paludati, pomposi, vuoti, delle chiese, l’anglicana,
la cattolica e la calvinista. Swift, pastore anglicano, non rinunciò a
pubblicarla, benché ne fosse sconsigliato, ma la addolcì con la prefazione,
provando a tenere la critica sul terreno letterario.
L’argomentazione principale è
sostenuta dal ragno e dall’ape. Quello in difesa dei moderni, e dei critici, l’ape
dei classici, e degli autori.
Un classico, tradotto da
Masolino D’Amico, con le illustrazioni di Gido Scarabottolo.
La battaglia era irreale –
umoristica. Ma il pensiero che si potesse concepire è oggi già irreale.
Jonathan Swift, La battaglia dei libri, Gallucci, pp.
80, ill. € 10.
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