È la morte che
non si dice, ma “buona morte”, eutanasia, delle persone non più produttive, o
malformate. Praticata evidentemente con larghezza, anche se al coperto. Essendo
parte della più vasta eugenetica, la “buona razza”, è per questo non più di
riferimento, dopo Hitler. Ma non è dismessa: nei paesi scandinavi e in Svizzera
è pratica corrente, senza problemi morali – quando la famiglia o gli aventi
causa non si oppongono.
La “buona morte”
è stata a lungo applicata, fino a recente, anche ufficialmente. Con l’aborto procurato (di figli deformi o
comunque indesiderati, spesso le femmine). E in prospettiva, con la sterilizzazione.
Delle donne prolifiche (referendum a Berna nel 1926), dei devianti, ladri o
assassini (negli Usa dal 1907 fino al 1980), dei folli o minorati gravi (in
Danimarca dal 1929, in Svezia dal 1935 al 1976).
I veterani di guerra sono anch’essi un costo, previdenziale oltre che ospedaliero.
Abolire l’imperfezione dal mondo, la malattia, l’incapacità, il dolore, è
richiamo inarrestabile. Nella scia di Darwin e dell’evoluzionismo povero, peraltro,
l’eugenetica si configura come perfezionismo. Ma l’eutanasia
branca dell’eugenetica, è brutta bestia, divorante.
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