giovedì 21 giugno 2018

Eutanasia in ospedale

Si “scopre” in Gran Bretagna un War Memorial Hospital che aveva la funzione di far morire i ricoverati - tra 500 e mille tra il 1990 e il 2000. Facendo finta che non fosse una politica ma la colpa della dottoressa che materialmente prescriveva le dosi letali. C’era stata qualche denuncia ma tutte le indagini si erano chiuse senza colpe.
È la morte che non si dice, ma “buona morte”, eutanasia, delle persone non più produttive, o malformate. Praticata evidentemente con larghezza, anche se al coperto. Essendo parte della più vasta eugenetica, la “buona razza”, è per questo non più di riferimento, dopo Hitler. Ma non è dismessa: nei paesi scandinavi e in Svizzera è pratica corrente, senza problemi morali – quando la famiglia o gli aventi causa non si oppongono.
La “buona morte” è stata a lungo applicata, fino a recente, anche ufficialmente. Con l’aborto procurato (di figli deformi o comunque indesiderati, spesso le femmine). E in prospettiva, con la sterilizzazione. Delle donne prolifiche (referendum a Berna nel 1926), dei devianti, ladri o assassini (negli Usa dal 1907 fino al 1980), dei folli o minorati gravi (in Danimarca dal 1929, in Svezia dal 1935 al 1976).
I veterani di guerra sono anch’essi un costo,  previdenziale oltre che ospedaliero.
Abolire l’imperfezione dal mondo, la malattia, l’incapacità, il dolore, è richiamo inarrestabile. Nella scia di Darwin e dell’evoluzionismo povero, peraltro, l’eugenetica si configura come perfezionismo. Ma l’eutanasia branca dell’eugenetica, è brutta bestia, divorante.

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