Semplicistica? No, il voto in questa direzione è ormai insistente,
da due generazioni. E quindi è ponderato – pensato, riflettuto. E in pochi
giorni è cresciuto dal 50 al 60 per cento.
Facile dirlo l’esito del vecchio regime che Mattarella ha voluto
incarnare e tuttora incarna. Avendo provato a imbavagliarlo col non governo. E
col viso dell’arme perfino ai Fori imperiali stamani.
Ne è specchio il linguaggio. Sciolto quello dei “nuovi” - sciolto dalla lingua di legno che il compromesso ha imposto alla politica. Sbiadito e irritante quello della persistente immutabile compromissione:
sprezzante, autoreferente (pieno di buone ragioni, di sé), paternalistico. Lo
si vede in ogni espressione dell’opinione pubblica che conta, giornali e tv -che presume di contare. E
nella stessa rete, che è l’unico sbocco aperto ai “nuovi”, ma con presenze compromissorie
preponderanti. Con grave crisi di questa stessa opinione, in termini
quantificabili, di lettori, e di audience
- molta tv trascina gli stessi spettatori da un talk-show all’altro: sono come
le vacche che si facevano vedere una volta a Fanfani in Calabria.
Quale che sia il futuro politico dei “nuovi”, il linguaggio è
nuovo. Semplice, diretto. Mentre l’opinione pubblica che si presume qualificata è sempre
più residuale. Incistata in schemi ripetitivi, e linguaggio tanto povero quanto
pieno di sé – superiore, moralmente, esteticamente. Dei tormentoni. Che si direbbero, volendo
razionalizzare, esito di un Grande Manovratore, tanto sono uguali e conformi. E
invece ripetono l’incapacità: roba da vecchio centralismo democratico senza più
un centro, ripetitivi, conformistici. Se
ne spiega la crisi: dopo venti anni di anti-Berlusconi, ora tutti contro il
governo, e i due partiti che lo formano. Ma senza fare l’opinione, che i
sondaggi dicono muoversi velocemente in senso inverso.
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