La domanda si pone con la copertina violenta di “Der Spiegel”, il diffusissimo settimanale tedesco, ieri in edicola (oggi in
Italia), non mutata di una virgola malgrado le polemiche e le proteste. Con lo
spaghetto in forma di cappio e la dicitura: “Ciao amore! L’Italia si
autodistrugge e trascina l’Europa con sé”.
Questo disprezzo – si dice paura ma è disprezzo - in Germania è
un luogo comune. Non da ora. Non solo contro l’Italia. Tutto dà fastidio ai
tedeschi uniti – ai giornali tedeschi, agli economisti tedeschi, ai consulenti
e commentatori, ai politici, di tutti i partiti. Anche a quelli che vivono o
lavorano fuori – compresi i direttori tedeschi messi da Franceschini a capo dei
musei: si lamentano molto. Perché è un’altra Germania dopo la riunificazione,
non più quella di Bonn, con cui l’Europa unita si è fatta.
Il bacillo della peste è la crisi perdurante, dopo dieci anni.
Con presunti salari di pochi euro (e molta assistenza pubblica) in Germania. Con
l’inoccupazione dei giovani in Italia, l’impasse ormai senza via d’uscita di una
generazione, di venti-trentenni. La crisi è perdurante per la volontà politica
della stessa Germania, che impone un’economia basata sulle esportazioni, e quindi
su salari compressi e una distribuzione del reddito asfittica.
Il problema è la Germania e non l’Italia. E a questo punto
irrisolvibile. Per l’Italia come per la stessa Francia, che pure l’opinione in Germania
fa finta di rispettare, perdurando la colpa, e per ogni altro, specie per gli
slavi, occidentali (Polonia, etc.) e meridionali (Slovenia, etc.) – non più per
la Gran Bretagna, non per altro se ne è tirata fuori. L’insistenza di
Mattarella, con la crisi del non-governo e il suo sguardo dell’ira, a portare l’Italia
con le brache calate di fronte a questa “Europa” indebolisce il già debole potere
contrattuale dell’Italia, effetto del debito. Paradossalmente, difendono l’Europa
quelli che dicono che bisogna rivedere i conti.
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