“Perché non desideriamo
tutti, come inebriati da un eterno senso di avventura, «la bellezza della vita»?”. Un racconto vecchio e nuovo, di formazione e bohème – da quartieri alti. L’altro aspetto dell’amore, l’altra
funzione: di turbamenti e trepidazioni, senza i furiosi assalti fisici che i
romanzi impongono. Specialmente brutali nel filone gay, nel quale le
infatuazioni che l’androgina Schwarzenbach racconta si collocano. È una rappresentazione,
tra la provincia tedesca, Parigi, Berlino, Lugano, di adolescenze attardate, di
amicizie febbrili, una rete di rapporti vaganti nelle varie sfumature oggi lgbt.
Un racconto seminale. Una
serie multipla di esperienze gay. Formidabile per l’età dell’autrice, anche
perché non repertoriate, senza precedenti. Solo allusi in molto decadentismo,
da Huysmans a D’Annunzio, con O.Wilde e Th. Mann, e marginalizzati nel cachinno
da Rachilde. Vissuti (ricreati) da
supporre di persona, per l’androginia che la distinse, felice prima della
droga, e l’impazienza vorticosa di esperienze. Un libro cioè che dice anche
probabilmente tutto, quello che importa, dell’autrice. Playful e non impegnata – non coltiverà mai un amore. Distaccata e
non appassionata, forse il vulnus che
la porterà alla deiezione di sé. E di un mondo, benché qui limitato a una bohème seletta, di musicisti, would-be, pittori, scultori, esteti alla
Des Esseintes o alla Dorian Gray. Curiosamente trascurato, benché di Schwarzenbach si siano
esplorati tutti i cassetti.
Ci sono pure i fratelli Mann, Klaus e Katia, qui Leon e Christina, nel loro rapporto esclusivo e nel patrocinio di Bernhard-Annemarie - e non sarà la Christina-Erika il riferimento della Christina-Annemarie di Elsa Mallart, “La via crudele”? Ingombranti già all’epoca, e ineliminabili: “È innegabile che questi due individui
(“Leon” e “Christina”, fratelli, n.d.r.) abbiano un talento e una bellezza
straordinari; attraverso l'algida superiorità dei loro comportamenti e la loro
malinconia sorda e intoccabile esercitano un potere e una forza d’attrazione
del tutto fuori dall’ordinario”.
Una narrazione d’impeto forse
più che un progetto, la prima della scrittrice svizzera - Annemarie
Schwarzenbach lo scrisse ai vent’anni, lo pubblicò a ventitré. Ma, oltre che
originale nell’impostazione della febbre erotica, denso di umori che sfoceranno
in varie direzioni nella narrativa europea del secondo Novecento - e ancora di
più, come pare, in questo primo Millennio.
Raccontata in prima e in terza
persona, con improvvisi straniamenti, come poi si diranno con Brecht. Senza
scansione in capitoli, un abbozzo di “flusso” orale – quale poi sarà sviluppato
dal Bernhard narratore.
L’Orma recupera questo primo
romanzo di Annemarie Schwarzenbach, 1931, a ventitrè anni, in una collana,
Kreuzville, composizione o crasi di Kreuzberg e Belleville, delle Berlino e
Parigi antagoniste o innovative, che molte radici mettono in germinazione del
XXI secolo.
Annemarie Schwarzenbach, Gli amici di Bernhard, L’Orma, pp. 186
€ 13
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