Amore – È desiderio per il giovane
Proust, “Jean Santeuil”, al libro IX. “Sull’amore”, “senza rapporto con la
realtà”.
Dante – “Specializzato” lo vuole il
fiorentino Palazzeschi, “Il Doge”, 154, “in speculazioni esemplari per il
godimento altamente spirituale, oltre che per i sonni tranquilli della cristianità
tutta insieme”. Ma non proprio un tranquillante: “Il famosissimo Dante prima di
andare al Polo Nord” si era specializzato in “poltiglia” animata da “grida
forsennate e strazianti delle anime”.
Dialetto – È il mezzo preferito dello
scrittore forse più cosmopolita del Novecento, Pirandello, e quello che lo ha portato
al successo negli anni 1910. Il dialetto agrigentino, in bizzarro parallelismo
con Camilleri, che il Novecento ha chiuso tornando al dialetto agrigentino,
seppure in una sua personale riedizione.
Donne – Sciascia ha le “donne di Pirandello”,
come le “donne di Moravia”, repulsive. In uno degli sprazzi della contorta silloge
di saggi pirandelliani, “Pirandello e la Sicilia” (“L’involontario soggiorno
sulla terra”, alla fine del § 2: “Sempre in Pirandello l’amore avrà sentore di
morte… Non c’è mai ne suoi personaggi un
momento di abbandono al cuore o ai sensi. E non c’è mai una donna che, per quanto
bella, l’autore non investa, più o meno evidentemente, d’un’ombra di
repulsione. (Più scopertamente, un uguale sentimento tocca, a deformarle o
imbestiarle, le donne dei romanzi e dei racconti di Alberto Moravia)”.
Ma non solo le donne, il “realismo” di Pirandello
secondo Sciascia (“L’olivo saraceno”, in “Pirandello e la Sicilia”) ha
contagiato “gli scrittori italiani delle generazioni successive”. Che sembra
una banalità, ma Sciascia la vede in senso deteriore – non amava Pirandello.
Solo il “pirandellismo” di Eduardo si salva, “ora perché torna a immergerlo,
felicemente, alla sorgente della dialettalità; ora perché riesce a farne brillante
prestidigitazione”. Moravia e Soldati, “due fra i più notevoli narratori della
generazione del 1930”, un po’ meno: “Per i temi e i modi del realismo, il
Moravia; per il «pirandellismo» il Soldati: per il giuoco, cioè, tra apparenze
e realtà, tra forme e vita”.
Gide – Fu bandiera del comunismo nella prima
metà degli ani 1930. Dappertutto in Europa. E, per la cura di Willi Münzenberg,
anche negli Usa e in Cina. Lo scrittore era portato da Mosca come il simbolo
della politica del Fronte Popolare, delle alleanze dei partiti Comunisti con le
borghesie nazionali. Molto vantato dal Comintern, culminò questa esperienza con
una viaggio in Russia nel 1936. Ospite d’onore ai funerali di Stato per Gorkij
- che Stalin aveva eletto simbolo nazionale, prima, forse, di avvelenarlo – per
il quale tenne l’orazione funebre ufficiale. Ma dall’invito a Mosca tornò molto
critico, il che troncò la sua presa sull’intellighenzia comunista. Presso la
quale, però, non era realmente popolare. Dashiell Hammett, membro di primo
piano del partito Comunista Usa, aveva rifiutato l’elogio di Gide al suo
“Raccolto rosso” - di cui aveva letto su “Time” - scrivendone all’amante
Lillian Hellman come di “un vecchio pederasta” con una “verve lubrica”. È vero
che l’elogio di Gide era temperato – scrivendone su “New Republic”, 7 febbraio
1934: “I dialoghi di Dashiell Hammett, in cui ciascuno mente meglio che può e
in cui la verità si districa a fatica nella bruma delle falsità, non sono
comparabili che ai migliori di Hemingway”.
Proust – Scrittore dalla frase lunga e dal pensiero corto lo diceva
Savinio. Lo diceva con argomenti filosofici che non vale riprendere. Ma è vero
che è poetavdella
decadenza, di una specifica decadenza. Un
Rutilio Namaziano, si direbbe, di Fine Secolo (fine Ottocento), per un
“De Reditu” sciolto, da vincoli di metrica e di sobrietà.
Recensione – “Istituto ridicolo” per
Franco Fortini, “Ventiquattro voci per un dizionario di lettere”, 12: “Sono
cresciuto in mezzo all’istituto ridicolo della recensione letteraria, ossia
dell’improvvisazione presuntuosa”.
Roma – Il romanzo omonimo, un omaggio a Roma,
Palazzeschi chiude con un grido d’amore: “Roma, Roma, Roma, Roma, giovane e
decrepita, povera e miliardaria, intima e spampanata, angusta e infinita”. Dopo
vere passato in rassegna le tante cupole che vegliano sui suoi vicoli tra
Monserrato e Campo Marzio.
Si dice pacioccona ma è violenta,
giustizialista. Nel popolino (popolaccio) come nella borghesia (Parioli) - si
capisce subito quando circolando si entra in zona Parioli: la guida diventa
aggressiva, violenta, nei sorpassi, agli incroci, con gli zig-zag, nel
parcheggio.
Per tutto l’Ottocento e fino a Mussolini
si uccideva per uno sgarro tra ubriachi in cantina, così come ora tra sballati
in discoteca. Tanti papi furono oltraggiati dopo morti, non dagli antipapi ,
dai romani. Prima dI Craxi all’hotel Raphael, Pirandello fu insultato a lungo,
compreso il lancio di monetine, al teatro Valle, durante e dopo la prima dei
“Sei personaggi”, messa in scena superba di primaria compagnia, diretta da
Dario Niccodemi, con Vera Vergani e Luigi Almirante (zio di Giorgio), che altrove
avrà ovunque successo e consacrerà il nome di Pirandello. Da “giovanotti eleganti”,
scrisse Orio Vergani, e signore dalle “preziose borsette”.
Sotto-uomo – La categoria di Céline è
tratteggiata a lungo – senza citarlo – da Simone de Beauvoir in “Per una morale
dell’ambiguità”, pp. 34-39 (pagine peraltro centrali della trattazione). È
“l’uomo serio”: non il paria dunque ma il borghese, quello dei “valori eterni”.
È pericoloso. Ed è naturale che si faccia tiranno: “La serietà riconduce a un fanatismo
temibile quanto il fanatismo della passione: è il fanatismo della Inquisizione,
che non esita a imporre un credo”.
Stendhal – “Il materialista per il
quale solo conta l’amore”, lo denuncia Proust in alcune righe del voluminoso
“Jean Santeuil” (IX, I, “L’amore”): “Ha sempre posto l’amore sopra ogni cosa e
dà l’impressione che, per lui, esso faccia tutt’uno con la vita interiore”.
Veicolo di una sorta di solitudine sociale: “L’amore è, per lui, la ragione per
cui si ama la solitudine, si hanno mille pensieri e la natura ci diviene
comprensibile ed eloquente”. Troppo immateriale per Proust: “Pare che abbia
conosciuto la poesia solo nella forma dell’amore. Noi non possiamo seguirlo
fino a questo punto”.
Venezia – “La città vedova del suo
doge” aveva già Byron nel “Childe Harold’s Pilgrimage”, senza più il mare, monumento se stessa. Ostaggio di un doge che non poteva
più sposare il mare.
letterautore@antiit.eu
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