domenica 10 giugno 2018

Letture - 347

letterautore


Amore – È desiderio per il giovane Proust, “Jean Santeuil”, al libro IX. “Sull’amore”, “senza rapporto con la realtà”.

Dante – “Specializzato” lo vuole il fiorentino Palazzeschi, “Il Doge”, 154, “in speculazioni esemplari per il godimento altamente spirituale, oltre che per i sonni tranquilli della cristianità tutta insieme”. Ma non proprio un tranquillante: “Il famosissimo Dante prima di andare al Polo Nord” si era specializzato in “poltiglia” animata da “grida forsennate e strazianti delle anime”.

Dialetto – È il mezzo preferito dello scrittore forse più cosmopolita del Novecento, Pirandello, e quello che lo ha portato al successo negli anni 1910. Il dialetto agrigentino, in bizzarro parallelismo con Camilleri, che il Novecento ha chiuso tornando al dialetto agrigentino, seppure in una sua personale riedizione.

Donne – Sciascia ha le “donne di Pirandello”, come le “donne di Moravia”, repulsive. In uno degli sprazzi della contorta silloge di saggi pirandelliani, “Pirandello e la Sicilia” (“L’involontario soggiorno sulla terra”, alla fine del § 2: “Sempre in Pirandello l’amore avrà sentore di morte…  Non c’è mai ne suoi personaggi un momento di abbandono al cuore o ai sensi. E non c’è mai una donna che, per quanto bella, l’autore non investa, più o meno evidentemente, d’un’ombra di repulsione. (Più scopertamente, un uguale sentimento tocca, a deformarle o imbestiarle, le donne dei romanzi e dei racconti di Alberto Moravia)”.

Ma non solo le donne, il “realismo” di Pirandello secondo Sciascia (“L’olivo saraceno”, in “Pirandello e la Sicilia”) ha contagiato “gli scrittori italiani delle generazioni successive”. Che sembra una banalità, ma Sciascia la vede in senso deteriore – non amava Pirandello. Solo il “pirandellismo” di Eduardo si salva, “ora perché torna a immergerlo, felicemente, alla sorgente della dialettalità; ora perché riesce a farne brillante prestidigitazione”. Moravia e Soldati, “due fra i più notevoli narratori della generazione del 1930”, un po’ meno: “Per i temi e i modi del realismo, il Moravia; per il «pirandellismo» il Soldati: per il giuoco, cioè, tra apparenze e realtà, tra forme e vita”.

Gide – Fu bandiera del comunismo nella prima metà degli ani 1930. Dappertutto in Europa. E, per la cura di Willi Münzenberg, anche negli Usa e in Cina. Lo scrittore era portato da Mosca come il simbolo della politica del Fronte Popolare, delle alleanze dei partiti Comunisti con le borghesie nazionali. Molto vantato dal Comintern, culminò questa esperienza con una viaggio in Russia nel 1936. Ospite d’onore ai funerali di Stato per Gorkij - che Stalin aveva eletto simbolo nazionale, prima, forse, di avvelenarlo – per il quale tenne l’orazione funebre ufficiale. Ma dall’invito a Mosca tornò molto critico, il che troncò la sua presa sull’intellighenzia comunista. Presso la quale, però, non era realmente popolare. Dashiell Hammett, membro di primo piano del partito Comunista Usa, aveva rifiutato l’elogio di Gide al suo “Raccolto rosso” - di cui aveva letto su “Time” - scrivendone all’amante Lillian Hellman come di “un vecchio pederasta” con una “verve lubrica”. È vero che l’elogio di Gide era temperato – scrivendone su “New Republic”, 7 febbraio 1934: “I dialoghi di Dashiell Hammett, in cui ciascuno mente meglio che può e in cui la verità si districa a fatica nella bruma delle falsità, non sono comparabili che ai migliori di Hemingway”.

Proust – Scrittore dalla frase lunga e dal pensiero corto lo diceva Savinio. Lo diceva con argomenti filosofici che non vale riprendere. Ma è vero che è poetavdella decadenza, di una specifica decadenza. Un  Rutilio Namaziano, si direbbe, di Fine Secolo (fine Ottocento), per un “De Reditu” sciolto, da vincoli di metrica e di sobrietà.

Recensione – “Istituto ridicolo” per Franco Fortini, “Ventiquattro voci per un dizionario di lettere”, 12: “Sono cresciuto in mezzo all’istituto ridicolo della recensione letteraria, ossia dell’improvvisazione presuntuosa”.

Roma – Il romanzo omonimo, un omaggio a Roma, Palazzeschi chiude con un grido d’amore: “Roma, Roma, Roma, Roma, giovane e decrepita, povera e miliardaria, intima e spampanata, angusta e infinita”. Dopo vere passato in rassegna le tante cupole che vegliano sui suoi vicoli tra Monserrato e Campo Marzio.

Si dice pacioccona ma è violenta, giustizialista. Nel popolino (popolaccio) come nella borghesia (Parioli) - si capisce subito quando circolando si entra in zona Parioli: la guida diventa aggressiva, violenta, nei sorpassi, agli incroci, con gli zig-zag, nel parcheggio.
Per tutto l’Ottocento e fino a Mussolini si uccideva per uno sgarro tra ubriachi in cantina, così come ora tra sballati in discoteca. Tanti papi furono oltraggiati dopo morti, non dagli antipapi , dai romani. Prima dI Craxi all’hotel Raphael, Pirandello fu insultato a lungo, compreso il lancio di monetine, al teatro Valle, durante e dopo la prima dei “Sei personaggi”, messa in scena superba di primaria compagnia, diretta da Dario Niccodemi, con Vera Vergani e Luigi Almirante (zio di Giorgio), che altrove avrà ovunque successo e consacrerà il nome di Pirandello. Da “giovanotti eleganti”, scrisse Orio Vergani, e signore dalle “preziose borsette”.

Sotto-uomo – La categoria di Céline è tratteggiata a lungo – senza citarlo – da Simone de Beauvoir in “Per una morale dell’ambiguità”, pp. 34-39 (pagine peraltro centrali della trattazione). È “l’uomo serio”: non il paria dunque ma il borghese, quello dei “valori eterni”. È pericoloso. Ed è naturale che si faccia tiranno: “La serietà riconduce a un fanatismo temibile quanto il fanatismo della passione: è il fanatismo della Inquisizione, che non esita a imporre un credo”.

Stendhal – “Il materialista per il quale solo conta l’amore”, lo denuncia Proust in alcune righe del voluminoso “Jean Santeuil” (IX, I, “L’amore”): “Ha sempre posto l’amore sopra ogni cosa e dà l’impressione che, per lui, esso faccia tutt’uno con la vita interiore”. Veicolo di una sorta di solitudine sociale: “L’amore è, per lui, la ragione per cui si ama la solitudine, si hanno mille pensieri e la natura ci diviene comprensibile ed eloquente”. Troppo immateriale per Proust: “Pare che abbia conosciuto la poesia solo nella forma dell’amore. Noi non possiamo seguirlo fino a questo punto”.

Venezia – “La città vedova del suo doge” aveva già Byron nel “Childe Harold’s Pilgrimage”, senza più il mare, monumento  se stessa. Ostaggio di un doge che non poteva più sposare il mare.

letterautore@antiit.eu

Nessun commento:

Posta un commento