C’è un afflusso volontario di africani in Libia, come piattaforma
per l’Italia e l’Europa. Solo in parte organizzato da mafie – droga,
prostituzione, carità, commercio ambulante. Per lo più opera di agenti riconosciuti nei paesi di
partenza, Nigeria, Ghana, Senegal, Gambia, Costa d’Avorio, etc. Una rete in atto
da almeno una dozzina d’anni, per un business
crescente. Si direbbe un turismo fiorente dell’emigrazione, se non costasse
vite umane. Perché il viaggio dal centro al nord Africa si paga, e dalla Libia
all’Italia pure. Si conoscono gli agenti e si conoscono le tariffe - che non sono quelle fantasmagoriche dei cronisti improvvisati, ma sono evidentemente remunerative.
Si conoscono anche i motivi dell’immigrazione forzosa.
Ricongiungimenti familiari da una parte – donne e\con bambini – e dall’altra
giovani o disadattati in cerca di un futuro qualsiasi, alla cieca. Pochissimi
sono i rifugiati politici.
Questo linguaggio all’apparenza benevolente – ma è solo
ripetitivo, rituale - dei volontari non risolve il problema immigrazione, e
semmai lo aggrava. Perché questo flusso di massa è un costo: per gli africani
in vite, per l’accoglienza in euro. Senza soluzione. Che invece c’è, per i
migranti e per i riceventi, e andrebbe applicata.Con regole non punitive per i ricongiungimenti. Andando a
prendere gli emigranti per i quali ci sia domanda. A costo ridotto e senza sacrifici
umani. Senza sfruttamento. Non è difficile. Certo, non ci sarebbe più il
business dell’accoglienza, che fa da specchio a quello delle mafie africane.
Il linguaggio falso della benevolenza fa un torto anche ai volontari.
Che sono operatori professionali, malgrado il nome, retribuiti. Un vero volontariato,
che andasse cioè oltre il piccolo business dell’accoglienza, dovrebbe dire la
verità sull’immigrazione, e sui veri rimedi, invece di lavarsi le mani col volemose
bene.
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