Una celebrazione di Roma in assoluto, e
rispetto alla Firenze natia, stantia. Il vero centro del Rinascimento. Roma
“non si era lasciata capovolgere i valori della vita. Fra paganesimo e
cristianesimo aveva saputo prendere ma anche tenere”: “Il piagnone a Roma non
era un prodotto possibile e il frate ferrarese” Savonarola “di fronte ai romani
avrebbe dovuto contentarsi di carezzare loro le orecchie”. Firenze non è arrivata
al Rinascimento: “Si procede per reazioni in Firenze, e dopo il Rinascimento
il carattere medievale permane”.
Fra contesse, principi, giovani maschi e
giovani femmine, chiese, cupole, non si
fa che parlare (bene) di Roma. “Il romano non è eccessivo, non è estremista né
ribelle”, inteso come un complimento. “Roma è città d’equilibrio, pigrizia e
indifferenza”. E se “non è romantica a Roma la notte lunare”, e nemmeno “la luna
tra le rovine”, è però una liberazione - è di “splendido pallore”. La lista sarebbe
lunga. Fino alla dichiarazione finale, preceduta dall’elenco amoroso delle
cupole che sullo scrittore quasi ottantenne vegliano erette: “Roma, Roma, Roma, Roma, giovane e decrepita, povera e miliardaria,
intima e spampanata, angusta e infinita”.
Aldo Palazzeschi, Roma
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