Corpo nudo - Il corpo è Cristo, Cristo è anzitutto un corpo. Nudo
per lo più. Non c’è più nudo che nelle immagini sacre cristiane - per i pittori il corpo racconta meglio l’anima.
Anche
per gli scultori. Ci
pensò molto Michelangelo dopo avere ideato il Cristo nudo. Si discuteva all’epoca,
da un paio di secoli, se mostrare nelle arti il Dio-uomo nell’interezza del
corpo, e la Vergine nelle fattezze di Eva. Ma in
gioco era l’autorità della chiesa. Paolo IV la esercitò imponendo le mutande
ai nudi di Michelangelo nella Sistina. Michelangelo lavorò una dozzina d’anni
al Cristo morto, senza finirlo, e se lo tenne in casa. L’aveva scolpito dai
piedi al grembo, ma poi ne grattò, o non ne polì, le pudenda, che così si
segnalano. Anche il braccio destro, che ha funzione di quinta per mostrare il
grembo del Cristo, è scolpito e levigato. La cosa al centro del blocco è ora
messa in ombra dalla patina che Manzù vi ha soprammesso, quando Milano lo incaricò
di sistemare la Pietà al Castello: un’emulsione cerosa per dare al marmo
levigatezza analoga alla Pietà di San Pietro, un nitore ingrigito che si
assimila al sacro. Ma non estingue il senso vivo del blocco, la scena della
morte.
Quella privata di Michelangelo è una
deposizione tonica, di chi va alla resurrezione, e un reperto unico, diceva
bene Wittgens, ma per il lato oscuro della cosa. Che Gesèben Sirah, il Siracide, nel canone greco delle Scritture
antevede: “Davanti agli uomini stanno la vita e la morte: a ognuno sarà dato
ciò che a lui piacerà”. C’è chi è per l’eterna Pasqua, la festa di resurrezione
dei corpi, non è peccato.
Al
cimitero si esercita il culto dei corpi: le anime dei morti non ci sono, solo
il corpo. Si coltiva quello che resta, ma non si sente l’anima, non si vede,
senza corpo.
Si
finge che sia la Madonna a reggere il corpo nel blocco di Michelangelo aSan
Pietro, mentre si sa che fu Maria Maddalena ad andare per prima incontro al
Risorto. Incontro democratico, tra Dio e la puttana. Ma anche ritorno di Dio
alla carne, al corpo.
Incredulità – È un’altra
forma di fede - credulità. Si pubblica una foto di Salvini e Di Maio dopo il
giuramento del governo al Quirinale con la didascalia: “Il sorriso di Di Maio e
la faccia di Salvini. Il giuramento dell’incredulità”. Cioè della credulità, se
non della credenza o vera fede.
Quest’epoca di crisi - che non crede a
nulla – è perfino credulona. Nella macrobiotica, la dieta liquida, l’antibiotico,
l’industria verde. O, nel caso di Scalfari col papa argentino, di mera
curiosità – oltre per ricavarne un libro con cui scalare le classifiche e gli
annali. Lo scetticismo, il metodo dell’indagine, è esercizio vago (difficile)
di equilibrio e non di accetta, non di passione (è passione della non passione), mai
conclusivo.
Gli studi incontestati di L.Febvre sul Cinquecento, il secolo delle
Riforme - da quello su Rabelais (“Il problema dell’incredulità nel secolo XVI.
La religione di Rabelais”) al saggio sul “Cymbalum” di “Des Périers” (“Origène
et Des Periers”), libello ateista modellato su Celso, sul “Discorso vero”, e
alla raccolta postuma di saggi “Au coeur réligieux du XVIe siècle” - ne fanno
un secolo religiosissimo. Rilevando l’anacronismo, l’applicazione al
Cinquecento delle categoria positiviste o materialiste
dell’Otto-Novecento. Si combatteva per
più fede.
La
sospensione dell’incredulità è di Coleridge, applicata alla letteratura, alla
poesia. Si può dunque dire così: l’incredulità è lo “stato normale”, che si
sospende per ogni lineamento o baluginio di verità - di fede o anche di
fantasia.
Lamentazione
– È ciclica? I migranti, un
tempo pieni di silenzio, raccontano in dettaglio infiniti malanni. Pure le
giovani, e i giovani, hanno nozioni patologiche estese, e quanti non sono i
dolorini alla schiena.
Va con la crisi.
Che ora è coltivata – la crisi artificiale andrà con l’intelligenza
artificiale? È l’ansia del ricco per l’erosione delle rendite – la crisi è
occidentale: pesa più degli infarti, i tumori, i terremoti, gli incidenti
stradali, le epidemie.
Non si parlava
mai della morte, non in letteratura, neppure nelle trincee, o nei lager, e sembrava buona norma, ora si fa
con diletto. Non per carità, al contrario, è buttare il mondo infetto addosso
all’interlocutore, una cosa da untori.
Il destino è
anche sociale, e delle epoche storiche: sembra che, cessando il bisogno, si sia
perduto il giudizio, e ogni stimolo al lavoro ben fatto. Le formazioni sociali
sono vuote, e non per mancanza di volontà, è come cantare col naso. Di tale
banalizzazione sono specchio la letteratura e la filosofia, gonfie di falsità:
melasse, concettismi, oltraggi, tutto coltivato e insulso, ma tutto tremendamente
dolorifico.
Linguistic Turn – È stato, è, uno strumento di
potere accademico negli Stati Uniti, i dipartimenti di inglese portando al centro
delle scienze umane, dei dipartimenti umanistici. Ne fa un preciso quadro Laurent
Binet, il romanziere, in “La settima funzione del linguaggio” (chi ha ucciso
Roland Barthes?): “Per i dipartimenti d’inglese la French Theory è stata lo strumento di un putsch che ha permesso
loro di passare dalla quinta ruota della carrozza delle scienze umane alla
disciplina che ingloba tutte le altre, perché se la French Theory parte dal postulato che il linguaggio è alla base di
tutto, allora lo studio della lingua significa studiare filosofia, sociologia,
psicologia… È tutto qui il famoso linguistic
turn”. È tesi non peregrina,
illustrata nel capitolo americano dell’“indagine” sulla morte di Barthes,
“Ithaca”, che la fortuna del “pensiero continentale” negli Stati Uniti , da
Jakobson a Foucault, Barthes, Eco e Derrida, malgrado l’avversione di
accademici illustri e potenti del ramo, da Chomsky a Searle, sia dovuta a un riequilibrio
dei poteri accademici. L’argomentazione
Binet affida a un personaggio fittizio, Morris Zapp, “il” cattedratico
tuttofare (tutto-potere) di David Lodge,
“Scambi”, 1975.
Natura – È totalitaria. Tale che nessuna difesa è possibile - ci si può difendere da Dio,
dalla natura no. Nulla di russoviano.
Passato – Privarsene
è illiberale, per quanti pesi e equivoci possa addurre. È la
morale di S. de Beauvoir, “Per una morale dell’ambiguità”. Il Medio Evo in
effetti, che ha dimenticato o trascurato l’antichità, l’Alto Medio Evo, si
considera epoca oscura e quasi barbarica.
Ma illiberale con se stessi? Nella prospettiva individuale ombre
proietta più che luci, tra condizionamenti per imprinting e rimozioni. Un
Tarzan non vivrebbe più felice?
Pedagogia
– È ineliminabile. “L’educazione può tutto,
perfino insegnare agli orsi a
ballare”, la nota tagliola ironica di Leibniz è naturalmente vera, e pericolosa,
come lui la intendeva. Ma il contrario è anche vero. In peggio? L’esito della
riforma Malfatti, 1975, ch ha introdotto le famiglie nella gestione della
scuola, ha finito per portare alla contestazione permanente della scuola, in
ogni sua forma, che sia permissiva o restrittiva, innovativa o tradizionale,
produttivista o lassista, cioè alla dissoluzione della scuola, oltre che della
funzione pedagogica. Esito sicuramente non f elice per nessuno, non per il
giovane né per la società e la stessa famiglia, oltre che per gli insegnanti – professione
in crisi di vocazioni. Il senso del potere insito nella funzione pedagogica
trapassato nelle famiglie non è meglio gestito – con misura e accortezza, al
miglior fine.
Politica
– È totalitaria. Ormai da mezzo secolo. In Occidente - Usa e
Europa. Da quando è stata rigettata o sfidata. L’Autonomia si voleva
post-politica – la politica della post-politica. Poi è venuta l’antipolitica,
dei corpi separati dello Stato – una forma di golpismo. Ora il populismo, il
governo degli anonimi. Sempre contro la politica come critica e
dottrina-filosofia (ideologia, “sistema”). È la politica del rigetto o della
sfida. Comunque avvolgente, assorbente: totalizzante.
Probabilità – È la pompa del vizio, secondo Proust (“Jean Santeuil”, V,II, “Lo scandalo
Marie”): “Fra due probabilità, la più gradevole è la più probabile”. Si
scommette con fiducia nel caso.
Solitudine – È iperattiva,
frenetica. O allora oblomoviana – inerte, assente. Il primo caso è più
frequente, anche per ragioni di sopravvivenza. La solitudine si vorrebbe
assimilata al sorriso del gatto del Cheshire: far perdere le tracce, esserci
senza essere reperibile. E invece nella
solitudine non vale l’essere ma il fare. Robinson ne esce così, e chi non è
nato robinsoniano, essendo europeo? O nato piuttosto negro di Robinson, ci si
trova facilmente bene dentro il tuttofare.
Storia - Landau, il
fisico, diceva che il tempo può andare indietro, e che se ciò non fosse andrebbe
contro natura. Celan lo conferma: “Io sono,\ sono il già stato”. Ciò che difetta
al presente è la coscienza storica, della continuità nella rivolta. La storia è
labile. Senza radici si procede psicolabili.
zeulig@antiit.eu
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