Armonia – Si vuole disarmonia. Cioè un’estetica
della morte. Non arte.
L’arte non può essere della morte, la
morte non è vita. Se non dialetticamente: ma allora è una disarmonia-per-l’armonia,
non la dissonanza infinita che viene inflitta, in musica e nelle arti visive.
Colpa – È generalizzata, per quanto informe, in una col sentimento di crisi e
di morte. La Colpa è ora di
tutti, tedeschi e non, per essere morti dentro, la “colpa metafisica” (Jaspers).
Individualmente il
suicida può pensare, come John Donne in un momento brutto per la carriera:
“Possiedo le chiavi della mia prigione”. Scriverci sopra anche un trattato,
come il decano di Saint Paul Donne fece – un Biathanatos che non è una morte doppia ma una sorta di morte
vissuta: “Questo peccato non è irremissibile”. Ma ci pensa il suo essere-al-mondo
a disilluderlo, il “si” indistinto che solo si occupa di morire, prima è meglio.
Coscienza – Il problemino di Kant, “Su un preteso
diritto di mentire per umanità”, è oggetto di vasta cas(u)istica . Una è
questa, nella sintesi del suo oppositore Constant: “Davanti a degli assassini,
che vi chiedessero se il vostro amico, che stanno inseguendo, si è rifugiato in
casa vostra, la menzogna sarebbe un crimine”.
Ma non si può costringere una persona a un’azione contraria alla
sua coscienza, non liberandolo dalla responsabilità. Caillois ha, in “Ponzio
Pilato,”, un Cicerone-Xenodoto che lo argomenta – in un libro che
Cicerone non scrisse, “De finibus potentiae deorum”, sui limiti della potenza
degli dei, nel quale avrebbe ripreso le argomentazioni teologiche e filosofiche
di un non altrimenti noto Xenodoto – a meno
che non fosse il filologo, organizzatore della biblioteca di Alessandria ma
reputato dai successori per la sua “ignoranza”, in quanto editor di Omero, Esiodo e altri. Da Xenodoto-Cicerone, Caillois-Ponzio
Pilato si fa dire che “le divinità, gli astri, le leggi cosmiche, lo stesso
inesorabile Destino”, messi insieme, “non potevano costringere il Giusto a
un’azione che la sua coscienza gli proibiva”.
Ma
la coscienza di Caillois-Cicerone-Xenodoto non può sottrarsi alla legge, o alla
conformazione di male e di bene.
Ideologia – Se ne censisce
in continuazione il tramonto, mentre è più viva e potente di prima. Dominante
anzi, totalitaria: quella del “pensiero unico” – non si nasconde neanche. Non
c’è altro modo di leggere il mercato, specie nell’opinione italiana. Specie, paradossalmente
, nella sinistra politica, in Italia, da Veltroni a Bersani, Vincenzo Visco, il
Berlinguer ministro. Per incultura, e per cattiva coscienza – il pensiero liberale
sa, sapeva dalla origini, che la libertà va regolata.
Machiavelli –
“Il Principe” è per il popolo, un incitamento alla rivolta. Tesi ardita,
essendo “Il Principe” rivolto ai principi come arte del governo, ma non
peregrina, che Laurent Binet, il giallista-semiologo della “Settima funzione
del linguaggio” fa sostenere alla Vecchia, in dibattito critico col regista
Antonioni a Bologna, al Logos Club di cui Eco è il Gran Protagora. “Il
Principe” non è un manuale di dominio ma di liberazione: “Gli arcani del
pragmatismo politico sgombrati dalle
fallaci giustificazioni divine o morali. Gesto decisivo nell’affrancamento
umano, come ogni gesto di desacralizzazione”. Machiavelli è l’intellettuale
nella sua forma migliore, “un liberatore”.
La
Vecchia ci arriva per due vie. Perché Machiavelli di fatto si appella al popolo
- «Perché quello del popolo è più onesto fine
che quel de’ grandi, volendo questi opprimere, e quello non essere oppresso»”.
E perché “in realtà, non scrive «Il Principe» per il duca di Firenze, poiché
l’opera è diffusa ovunque. Pubblicando «Il Principe», Machiavelli rivela verità
che avrebbero dovuto restare nascoste e riservate a uso interno dei potenti
esclusivamente: atto sovversivo, atto rivoluzionario”.
La
Vecchia è la gestora dell’Osteria
del Sole, allora (1980) come oggi noto ritrovo bolognese, la comunista
integrale. “L’opera che passa per il colmo del cinismo politico”, esordisce nel
dibattito col regista che la vedrà vincente, “è un manifesto marxista
definitivo”,
Marx e Heidegger – Manca, nel revival di
Marx per i 150 anni del “Capitale”, ma si può fare – sarebbe anche d’obbligo. Essere e avere
non è solo un titolo di Gabriel Marcel, se essere è avere. L’essere è se
stesso: storia, classe e Volk-corpo
sociale. La fisicità è l’eterno incomodo del pensiero occidentale, da Kant, e
gli altri scozzesi liberali, ai padri della chiesa. La fisicità eleva e
razionalizza il possesso. E la morte che viene in primo piano esorcizza la
violenza, in quanto rivoluzionaria.
Si
può fare un “Heidegger e Marx”, il materiale non manca, come sempre nella
filosofia tedesca. E Hiedegger, benché antisemita, potrebbe non protestare –
tentò delle avances antioccidentali al sovietismo, negli anni dopo
la guerra, quando era in disgrazia. Qui e là la mobilitazione è totale, si
aderisce alla storia con tutto l’essere. Che dice Heidegger? Il comune essere
storico è uno smarrimento di sé nell’ambito di ciò che è storico: la
non-storia. Un tale smarrimento del nostro essere è necessario alla storia.
L’essere storico è una costante sempre nuova scelta tra la non-storia e la
storia nella quale siamo. Entrare nella storia non significa entrare nel
passato. Se un popolo entra nella storia, entra nel futuro. Se esce dalla
storia non ha più futuro. Esso entra nella storia (passato) nella misura in cui
esce dalla storia (futuro). La possibilità di accesso alla storia si fonda
sulla possibilità che un presente sappia sempre essere-per-il-futuro. Ciò che
“ha una storia” è coinvolto nel divenire. È
nell’essere-per-l’avvenire che l’esserci è il passato.
Heidegger lo dice e lo ripete: “La
possibilità di accedere alla storia si fonda sulla possibilità che un presente
sappia essere di volta in volta futuro”. È a partire dal presente che si fa
entrare nel conto il passato, e in vista di ciò che è presente. È per esso che
si pianifica il futuro: “Quando girano le eliche di un velivolo non accade
propriamente nulla. Ma
se il velivolo porta Hitler da Mussolini, allora accade la storia. Il volo
diventa storia. La storia è cosa rara”
L’identificazione
più sottile l’aveva individuata Hannah Arendt, l’innamorata che Heidegger non leggeva:
“Il pragmatismo, anche marxista e leninista, muove dal presupposto, comune a
tutta la tradizione occidentale, che la realtà riveli all’uomo la verità, il
totalitarismo presuppone solo la validità delle leggi del divenire”.
Dell’esistere, senza leggi. Un’identificazione da intendersi, naturalmente,
come sorpassamento. Le idealità e incertezze delle società fondate sulla
volontà libera degli associati sono false e ostili. Ogni forma associativa,
ogni appartenenza, che sia di tipo razionale e politico oppure consuetudinario
e mistico, che non si fondi su una comunione fisica, d’interessi e di determinazioni
materiali, è ostile. E tuttavia – ecco Marx e Heidegger uniti nella lotta - la
mia verità è la verità. E deve fondare un mondo nuovo: la rivoluzione dei fatti
discende dalla rivoluzione delle idee, a esse il mondo va conformato. La verità
è conquistatrice. Gli uomini non sono inchiodati all’Ente nella soddisfazione
dei bisogni vitali, non sono rassegnati.
Morte - A
lungo si privilegiò nei simboli cristiani l’Incarnazione rispetto alla Morte,
fino al Rinascimento, che per questo è pieno di dipinti osceni della Madonna
col Bambino. E nella teologia dell’Umanesimo, il secolo che preparò la Riforma
– che la chiesa si fece poi cancellare dalla polemica luterana. Non da molto
tempo, ma con più insistenza e ripetitività, si fa il contrario, anche nella cristianità:
non c’è altro che la morte, non si parla d’altro, e la stessa forma del pensare
se ne fa la sua unica ragione – transeunte e non durevole, non nelle
intenzioni, il perire e non il permanere. Culminando nello heideggeriano “la
storicità autentica è l’essere-per-la-morte” – anche se Heidegger in lungo e in
largo argomentava altrimenti: “La storia è il tratto specifico dell’uomo? Pure
i negri sono uomini, ma non hanno una storia. Anche la natura ha la sua storia?
Ma allora anche i negri hanno una storia. Non tutto ciò che trascorre entra
nella storia”, la storia c’è quando non c’è, etc. (per il demonismo
del profeta - oppure connesso alla lettera H, cui si devono pure Hitler e la Bomba?).
zeulig@antiit.eu
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