Il pezzo forte della riproposta sono le due
prose finali, del 1926, due autoritratti, il secondo in forma di auto
intervista: “Si può dire che il nome
della poetessa torinese sta alla femminilità e alla letteratura come quelli di
Mussolini, di Marconi, di Dina Galli e di Camillo Rocchietta stanno
rispettivamente alla politica, alla radiotelefonia, al teatro, e alla creazione
del Proton”. Ironica, ma non del tutto: “Elegante, impassibile, un po’
sprezzante”, e una che “esige tutto di prim’ordine, anche i palchi”. Una virago
a tutto tondo, il genere che s’imporrà con gli anni 1960. Molto autonoma,
soprattutto dal genere maschile. In questo campo non disdegnando le relazioni
tempestose, da ultimo con Pitigrilli, anche in tribunale - in un processo che finirà con la sua
condanna, seppure attenuata per “infermità mentale”. Dopo avere minacciato,
qui si legge, “un libro alla nitroglicerina”, delle lettere d’amore a lei
indirizzate.
Gozzano
la leggeva e l’apprezzava per avere
declinato la verginità. Ma la sua “musa” aveva la ricetta delle lettere d’amore
e della seduzione. Un po’ monotona, di programma - più che di pratica? Nel programma della sua rivista (l’autointervista), che
chiamerà “Le seduzioni”, ne svela dieci anni dopo la morte del maestro
l’articolata tattica: “Come accade a
talune intelligenti lettere d’amore, deve lasciare avvenire in ciascuna
pagina un tono di ariosa grazia variata,
resa vivace qua e là da una sapiente screziatura di gioconda perversità
amabile….” Concetto ripetuto, se uno non avesse colto: “E come gli sguardi, le
parole, le prepotenze di una donna leggiadra che, facendosi amare, suscita un
interesse sempre diverso, deve
spumeggiare di bizzarria con la discrezione allettatrice propria al buon gusto
spontaneo”. Siccome Guglieminetti viene legata a Gozzano, immaginarsi Gozzano
tra intelligenza, grazia, perversità, prepotenze, bizzarria, allettamenti.
Nata
poetessa, 1907-1909, Amalia Guglielminetti sarà dopo Gozzano prosatrice e
polemista, autrice di romanzi un po’ pruriginosi, che le daranno rinomanza. Ma
resta “la” poetessa, l’unica che l’Italia vantava, a detta di D’Annunziao,
novella Gasparara Stampa, e anzi più di “Gasparina” secondo Gozzano. Per le
raccolte “Voci di giovinezza”, la prima, le due qui riprese, e “L’Insonne”. A
scuola in realtà di Ada Negri, verso la quale un sonetto, dal Bookshop
veneziano Damoche ripescato in coda, riconosce il debito. Una verseggiatrice, dotata più che ispirata, e più senza anima che con.
La prima raccolta, 1907, di
sonetti, è organizzata in capitoli: “Anime”, “Spiragli”, “Il signore”,
“Profili”, “Verità”. “Le seduzioni”, 1909, sono in terzine, chiuse da un verso
singolo. Cinque gruppi di sonetti chiudono la compilazione: “”Rosso e nero”,
“Un ritorno”, “Abbandoni”, “Soliloqui”, “Commiati”.
Un verseggiare apparentemente
facile, di scansioni, rime, assonanze. Notevoli per costanza e resa tradizionale, in anni di
sperimentazione. Sui temi della vita e dell’amore. Un canzoniere che si
sviluppa come una cantica. Attorno al sé: “La donna, con il volto fra le mani\
nell’ombra di sua gran chioma raccolto\ pensa: - Avrò ancora il mio nome e il
mio volto\ fra un anno, oppur fra dieci anni, o domani?”. Tutto ben risolto. Ma
senza un verso o un’immagine memorabile. Monotematico: “Tu, chiusa nello
specchio, mi somigli,\ sei forse un’altra me, ma sempre come\ una straniera, tu
mi meravigli”. Raramente narrativa – le vergini zitelle, e poco altro.
“Anime” è una sorta di cantica dantesca: un’evocazione di anime, di donne, in forma di sonetti, un’ottantina di sonetti. Un espediente che avrà altro esito in Lee Masters, “Spoon River”. Qui nell’indistinto, “metafisico”, in una terminologia classicista, di “alme”, “spirti”, “ardor”, “fervor”, forse la parola più frequente. Di poesia che, volendo esagerare, si direbbe mallarmeana, ridotta a suono.
“Anime” è una sorta di cantica dantesca: un’evocazione di anime, di donne, in forma di sonetti, un’ottantina di sonetti. Un espediente che avrà altro esito in Lee Masters, “Spoon River”. Qui nell’indistinto, “metafisico”, in una terminologia classicista, di “alme”, “spirti”, “ardor”, “fervor”, forse la parola più frequente. Di poesia che, volendo esagerare, si direbbe mallarmeana, ridotta a suono.
Componimenti come “spietate
autovivisezioni” la poetessa vuole. E questo è in linea col tempo. Ma la sua
scrittura è avulsa, bizzarramente, in anni di sperimentazione: d’impianto
ottocentesco, di linguaggio secentesco – sembra di leggere Tasso. Amalia li
prendeva civettando.
Amalia Guglielminetti, Le vergini folli. Le seduzioni,
Damocle, pp. 297 € 10
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