venerdì 22 giugno 2018

Amalia civetta

Snob, vittima del nome, domestico, la fidanzatina di Gozzano è una che ama il foot-ball e la ginnastica ritmica, in piazza. Ma ha il verso facile, apparentemente, e senza pudori, non gozzaniani.
Il pezzo forte della riproposta sono le due prose finali, del 1926, due autoritratti, il secondo in forma di auto intervista:  “Si può dire che il nome della poetessa torinese sta alla femminilità e alla letteratura come quelli di Mussolini, di Marconi, di Dina Galli e di Camillo Rocchietta stanno rispettivamente alla politica, alla radiotelefonia, al teatro, e alla creazione del Proton”. Ironica, ma non del tutto: “Elegante, impassibile, un po’ sprezzante”, e una che “esige tutto di prim’ordine, anche i palchi”. Una virago a tutto tondo, il genere che s’imporrà con gli anni 1960. Molto autonoma, soprattutto dal genere maschile. In questo campo non disdegnando le relazioni tempestose, da ultimo con Pitigrilli, anche in tribunale  - in un processo che finirà con la sua condanna, seppure attenuata per “infermità mentale”. Dopo avere minacciato, qui si legge, “un libro alla nitroglicerina”, delle lettere d’amore a lei indirizzate.
Gozzano la leggeva e l’apprezzava  per avere declinato la verginità. Ma la sua “musa” aveva la ricetta delle lettere d’amore e della seduzione. Un po monotona, di programma - più che di pratica? Nel programma della sua rivista (l’autointervista), che chiamerà “Le seduzioni”, ne svela dieci anni dopo la morte del maestro l’articolata tattica: “Come accade a  talune intelligenti lettere d’amore, deve lasciare avvenire in ciascuna pagina un tono di ariosa grazia variata,  resa vivace qua e là da una sapiente screziatura di gioconda perversità amabile….” Concetto ripetuto, se uno non avesse colto: “E come gli sguardi, le parole, le prepotenze di una donna leggiadra che, facendosi amare, suscita un interesse sempre  diverso, deve spumeggiare di bizzarria con la discrezione allettatrice propria al buon gusto spontaneo”. Siccome Guglieminetti viene legata a Gozzano, immaginarsi Gozzano tra intelligenza, grazia, perversità, prepotenze, bizzarria, allettamenti.
Nata poetessa, 1907-1909, Amalia Guglielminetti sarà dopo Gozzano prosatrice e polemista, autrice di romanzi un po’ pruriginosi, che le daranno rinomanza. Ma resta “la” poetessa, l’unica che l’Italia vantava, a detta di D’Annunziao, novella Gasparara Stampa, e anzi più di “Gasparina” secondo Gozzano. Per le raccolte “Voci di giovinezza”, la prima, le due qui riprese, e “L’Insonne”. A scuola in realtà di Ada Negri, verso la quale un sonetto, dal Bookshop veneziano Damoche ripescato in coda, riconosce il debito. Una verseggiatrice, dotata più che ispirata, e più senza anima che con.
La prima raccolta, 1907, di sonetti, è organizzata in capitoli: “Anime”, “Spiragli”, “Il signore”, “Profili”, “Verità”. “Le seduzioni”, 1909, sono in terzine, chiuse da un verso singolo. Cinque gruppi di sonetti chiudono la compilazione: “”Rosso e nero”, “Un ritorno”, “Abbandoni”, “Soliloqui”, “Commiati”.
Un verseggiare apparentemente facile, di scansioni, rime, assonanze. Notevoli per costanza e resa tradizionale, in anni di sperimentazione. Sui temi della vita e dell’amore. Un canzoniere che si sviluppa come una cantica. Attorno al sé: “La donna, con il volto fra le mani\ nell’ombra di sua gran chioma raccolto\ pensa: - Avrò ancora il mio nome e il mio volto\ fra un anno, oppur fra dieci anni, o domani?”. Tutto ben risolto. Ma senza un verso o un’immagine memorabile. Monotematico: “Tu, chiusa nello specchio, mi somigli,\ sei forse un’altra me, ma sempre come\ una straniera, tu mi meravigli”. Raramente narrativa – le vergini zitelle, e poco altro.
“Anime” è una sorta di cantica dantesca: un’evocazione di anime, di donne, in forma di sonetti, un’ottantina di sonetti. Un espediente che avrà altro esito in Lee Masters, “Spoon River”. Qui nell’indistinto, “metafisico”, in una terminologia classicista, di “alme”, “spirti”, “ardor”, “fervor”, forse la parola più frequente. Di poesia che, volendo esagerare, si direbbe mallarmeana, ridotta a suono.
Componimenti come “spietate autovivisezioni” la poetessa vuole. E questo è in linea col tempo. Ma la sua scrittura è avulsa, bizzarramente, in anni di sperimentazione: d’impianto ottocentesco, di linguaggio secentesco – sembra di leggere Tasso. Amalia li prendeva civettando.
Amalia Guglielminetti, Le vergini folli. Le seduzioni, Damocle, pp. 297 € 10


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