Molte forme linguistiche neolatine non hanno il tempo futuro, compreso il dialetto siciliano (e il calabrese), e ciò ha dato origine alla filosofia, di origine sciasciana, di un popolo che non ha futuro perché non ha futuro. Mentre il senso è diverso, il futuro è in origine, e rimane nei dialetti neolatini con forte presenza greca, una forma di aoristo, di possibilità. Lo dimostra Ulderico Nisticò in “Controgrammatica della Calabria” - ora in “Controstoria della Calabria).
Il futuro è del resto derivato dal
congiuntivo, forma anche latina di possibilità.
Chievo salvo per un
cavillo. Per analoga infrazione bilanci truccati, il Cesena e stato declassato
e infine dichiarato fallito. Ma qui al posto del Chievo andava ripescato il
Crotone, e per la serie A va bene cosi: niente trasferte al Sud. Giusto Napoli,
che è vicino Roma e dà sempre buoni incassi - quote parti appetitose.
Si scioglie per mafia
il consiglio comunale di Vittoria, in Sicilia. E si stringe il cuore: un Comune
amministrato da sempre da socialisti e comunisti, che dell’estrema povertà, tutto
pietra e aridità, è riuscito a fare una ricchezza. Con le colture astagionali in
serra, specie dei prodotti dell’orto nei mesi invernali – il famoso “Pachino” è
di fatto un’invenzione di Vittoria. Con piccoli e microproduttori che, organizzati
in cooperative, sono riusciti a uscire dalla miseria.
Si tiene il Peperoncino Day, del “frutto
piccante per antonomasia”, che la Calabria ha lanciato con notevole impegno di
risorse, quale prodotto dietetico e salubre. Una tre giorni in realtà di “appuntamenti
di alta gastronomia, convegni, seminari, esposizioni di produttori”. Si tiene a
Viareggio. Organizzato dalla Regione Toscana, C’è chi semina, e chi sa vendere.
Il
record del malaffare
Record in Calabria dei consigli comunali
sciolti in un anno, dodici. L’Interno lo comunica con orgoglio, come fosse un
exploit, e un successo della lotta alla criminalità. Mentre è un espediente troppo
facile per troppe prefetture, per le carriere dei funzionari.
Solo in due dei dieci consigli comunali
sciolti ci sono dei processi pendenti, con accuse precise. In altri si tratta
di contiguità, presunte. Per parentele lontane. Ma nei paesi tutti sono
parenti, lontani. La differenza la fanno solo gli informatori, sono loro che
stabiliscono quali “parentele” sono attive oppure no. La decisione è comunque
di funzionari che non hanno titolo per prenderla.
A Platì sono stati sciolti per mafia quattro
consigli comunali di seguito, dopo altrettanti periodi di commissariamento, sempre
per via della parentela diffusa. A San Luca, comune limitrofo, da due o tre
elezioni nessuno si candida più, per non fare la stessa fine.
Lo scioglimento del consiglio comunale per
evitare pressioni mafiose sembrava una buona ricetta, ma non lo è, a giudicare
dai casi, per nessun motivo. Salvo vere e proprie indagini su vere e proprie
delittuosità, mafiose e non. L’assenza di un’amministrazione locale non è un
rimedio da nessun punto di vista, tanto più in ambiti socialmente degradati
come sono quelli a dominanza mafiosa.
Di Platì resta un curiosità. È stato la
capitale dei rapimenti di persona in Aspromonte per un ventennio, negli anni 1970-1990. Nessuno perseguito con
successo. Benché l’Anonima Sequestri non fosse in realtà anonima. Nessuno
scioglimento di consigli comunali all’epoca.
Processioni
Le processioni, che disturbano il papa e
il vescovo di Oppido-Palmi, Milito, disturbavano già un secolo e mezzo fa:
“Io non so se è per spirito di
giustizia, non so se ho un brutto carattere, se mi manca un venerdì, ma io non posso mai guardare una processione
senza ridere e senza avere pietà dell’umanità. Niente mi sembra più
grottesco né insieme più cinico. Questo signore vestito d’oro e d’argento,
riparati da un baldacchino carico d’oro portato da quattro o otto uomini, tutti fra i più laidi, i più avvizziti, trai
più incartapecoriti, ci dicono che quest’uomo nel suo ostensorio d’oro
porta la verità, il solo Dio. Suda, il portatore, è stanco, si indispettisce se
una nuvola cupa oscura il cielo, e una carrozza attraversa il corteo o se un
indifferente si tiene il cappello in testa, eppure regge il maestro supremo
nelle sue mani ed è impotente a dissipare
la nuvola, ad arrestare la carrozza, a costringere l’indifferente a scoprirsi
la testa.
A che serve dunque abitare in un’ostia
se non ci si fa rispettare di più? A che serve essere Dio se non si può nemmeno
impedire a colui che vi porta di averne
le tasche piene?
E se si è Dio, perché farsi circondare
da tanti spaventosi cretini? Perché, guardate una processione, esaminate ognuna
delle facce dei portatori di ceri: non ce n’è una sola che non muova alla
pietà, al disgusto, al disprezzo o alla diffidenza. La faccia più onesta è
quella che è soltanto ipocrita”… - e così per un’altra pagina e mezza.
È il ritaglio di “Le Grelot. Chiarivari
(sic) belge”, giornale massone, di giovedì 15 settembre 1864, tiratura 282.397
copie, che Baudelaire conservava per il progettato libro sul Belgio
(ricostruito, cinquant’anni dopo la sua morte, sulle carte del lascito, “La
capitale delle Scimmie”), al cap. “Volgarità ed empietà belghe”.
Ora, mons. Milito non è empio. Ma
parla con la stessa franchezza – la stessa del “Grelot”, e del papa Francesco:
scherza, in chiesa, e dice anche le barzellette. Solo, parla stretto, imitando
Verdone quando fa l’imitazione del suo insegnate di religione, un prete calabrese
appunto, che aveva la pronuncia stretta. E non gli piacciono le processioni.
Aspromonte
Nel
suo racconto della sparatoria con i “piemontesi” Garibaldi dice che i suoi
erano arrivati sull’Aspromonte stremati, da due giorni di marcia, con “grande
difetto di calzatura”, e senza viveri. La sosta fu decisa per mangiar e: “Un
campo di patate sfamò i primi giunti, che avevano avuto la previdenza di
portare seco alcune fascine secche, atte ad arrostire le patate, ciò che è e
seguito in un momento. Per parte mia mangiai quelle patate arrostite
deliziose”. I Piani di Aspromonte sono ancora un campo di patate. Una patata di
ottimo gusto e resistente, di cui non si riesce a ottenere la dop perché sull’Aspromonte “c’è la mafia”.
Garibaldi
fu un brigante, anche lui? Come non pensarci? I bersaglieri gli spararono ai
Piani di Aspromonte, e lo arrestarono.
Il padre del capriolo
– Antonio
nel suo rifugio “Biancospino” è seguito da un minuscolo quadrupede, su gambe
altissime, magrolino ma determinato – sembra accigliato più che preoccupato. “No,
non è un cerbiatto, è un cucciolo di capriolo. Che è successo? Un signore che lo
ha visto nel bosco, pensando che si fosse smarrito, lo ha portato dai Forestali.
I Forestali, non sapendo come curarlo, hanno chiamato l’Ente Parco. L’Ente Parco
la stessa cosa, a chi lo portiamo, lo diamo a Antonio Barca. E mi tocca fare da
papa: questo ogni quattro ore magia, perciò mi devo alzare la note, la mattina.
Mi sembra che lo sto salvando.
“Allora
come funziona. Quando i caprioli partoriscono, abbandonano i cuccioli in un
angolino nel bosco, o in mezzo ala sterpaglia, e poi ogni quattro ore vanno a dargli
da mangiare. Perché la natura li ha programmati in un modo che non emanano
nessun odore. E sanno stare immobili. Perciò i predatori non li sentono e non
li vedono. La gente questa cosa non la sa, e ogni tanto capita qualcuno che li
trova, e pensando il cucciolo smarrito lo porta ai Forestali. La cosa brutta è
che, una volta che lo rimuovono non si può riportare più nel bosco perché la
mamma lo rifiuta. Ma crescono così quasi con un’altra natura. Tanto è vero che,
quando sono grandi, non si possono più liberare, sono imprintati. Ormai sono troppo
vicini all’uomo, ed è pericoloso liberarli, non hanno difese.
“E
insomma, a cinquantadue anni mi tocca rifare da papà. Speriamo che cresca bene.”
Antonio
e Thérèse Barca sono famosi in mezza Europa, ma per il loro garbo. E la
competenza nei loro ambiti di competenza, estrema di Antonio per la natura, del
Parco e fuori del Parco, flora, fauna, acque, sentieri, vedute, bird-watching
(passi stagionali), correnti d’aria.
Una
montagna piena di santi. Eufemia, Cristina, Stefano, sant’Elia, san Francesco.
E di Madonne: della Montagna, delle Grazie, della Catena, Assunta, Immacolata….
Una montagna piena di acque: fiumare, torrenti,
cascate, e sorgenti. A lungo segnata nella topografia mentale di pastori,
tagliaboschi e viandanti, dai nomi delle sorgenti. Cui corrisponde una sorta di
culto dell’acqua. Sono – erano – numerosi quelli che si facevano lunghi percorsi,
anche prima di abbreviarli con l’automobile, per una particolare acqua di una particolare
sorgente. Di cui erano o si professavano specialisti. Lo specialista in acque
era comune.
Le carte dettagliate dell’Igm, se ancora
esistono, dovrebbero averle registrate – molte adesso sono seccate, per
incuria, o perché canalizzate verso gli acquedotti.
Terrano è il vento dell’Aspromonte,
“perché è come il respiro della terra”, dice Mimmo Zappone, “Lumi come stelle”
(nelle raccolte “Il cavallo Ungaretti” e “Le maschere del saracino”). Ma è
detto così nei paesi di mare, solo sul versante tirrenico, a Gioia Tauro,
Palmi, Bagnara, Scilla. Porta via la pioggia.
La montagna d’estate senza pioggia –
giusto quanto serve ai funghi.
Col mare e la Magna Grecia a vista.
L’aria
elettrica, dei fulmini senza nuvole, nel cielo già spazzato dalla tramontana.
La
luminosità dell’aria elettrica. Per l’elettricità statica. Che dà scintille e
contorni luminosi nell’umidità.
I
fulmini che cascano a grappoli nel cielo senza nuvole, nell’aria gravida di
elettricità statica: le notti sono limpide in questi casi, senza bisogno della
luna. Che sembra però s’infili dappertutto, anche se è uno spicchio magro.
L’aria “secca, elettrica, eccitante,
sottile, che favorisce la pazzia” è di Montale, “Ventidue prose elvetiche” – è “l’aria
dell’Engadina”.
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