La
destinataria è Bruna Bianco, piemontese di Cossano Belbo, trasferita con la
famiglia in Brasile a sedici anni, nel 1956, che dieci anni dopo si reca a San
Paolo a incontrare Ungaretti in un giro di conferenze e fargli leggere i suoi
versi, accendendolo di fulmineo amore. L’ottantenne “Ungà” ne resta folgorato,
e per due anni buoni la tempesta di lettere infiammate.
Anche
infiammatorie? Non si sa. C’è sfoggio di viaggi a Londra, e incontri, con molto
name dropping, Allen Ginsberg, Ted Hughes. Il curatore Silvio Ramat, montaliano racé, non chiarisce. Di solido, si sa che invece di Bianca arriva
in Italia il fratello Marco, per studiare a Torino, al Politecnico. E che la
coppia si costituirà, a fine gennaio 1968 a Roma, ma per un viaggio turistico
di due mesi, in varie località italiane, da Canelli a Pompei, in Germania e in
Svizzera. Lei figura essere diventata “un importante avvocato di San Paolo del
Brasile”.
Una
raccolta di profonda pena, sugli amori dei poeti. Assoluti e stolti. Lui vive il
suo amore con amuleti e sortilegi, e poetandolo. Si dichiara democristiano - “cristiano
di sinistra”. Le rimprovera errori di grammatica. È a ottant’anni quello che è
sempre stato: entusiasta e ingenuo. Avendolo incontrato a casa sua fuori all’Eur
nell’autunno del 1969, aggregato per curiosità a una giornalista della “Gazzetta
del Mezzogiorno” che gli carpiva un’intervista con la solita scusa del Nobel imminente,
Ungaretti si presentava piegato in due, il testone sollevato in aspetto leonina, lo
sguardo chiaro sempre fulminante, sempre avido e lagnoso dei mancati
riconoscimenti, capace di bersi tutto, anche la piccola beffa della
giornalista.
Silvio Ramat, Lettere a Bruna di
Giuseppe Ungaretti, Oscar, pp. 658 € 21
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