Un esercizio di bravura. Che si legge con simpatia, ma stiracchiato.
Alla “Ulisse”, ma senza i problemi che animano l’odissea cittadina di Bloom, la
ventina di racconti assemblati da Joyce.
Il Messico è “il paradiso terrestre”. Tutti sono belli-e-buoni col
morituro, detto il Console. È stato abbandonato anche dalla moglie amata e
amante, Yvonne, sconfitta dal suo alcolismo inguaribile. Ma morirà in sua compagnia,
lei è tornata per un ultimo contatto. Accudito da amici fedeli. Il dottore locale,
pediatra e psicologo. Il regista-produttore di film francese Laruelle che, artigliere,
è stato in guerra al comando del capo-batteria Guillaume Apollinaire, e ora
progetta una nuova versione di Faust, rileggendo quello di Marlowe.
Il protagonista è detto il Console perché è o è stato console più o
meno onorario dell’Inghilterra a Cuernavaca. Qui ribattezzata con l’antico nome
nahuatl. La città sotto il vulcano – in realtà due, I vulcani sono due. Ma ora non
più, in un Messico ora filotedesco, anzi filonazista.
Si parte con una citazione impegnativa, dall’ Antigone” di Sofocle: “I
prodigi sono molti, nessuno è più portentoso dell’uomo”. Un racconto d’autore
per autori. Un libro per questo di culto, già tradotto nel 1961 da Giorgio
Monicelli, qui rifatto da Marco Rossari. Ma forse di culto - più che per scrittori,
come prova di bravura - per gli alcolisti
e i loro prossimi. “Una Divina Commedia ubriaca” lo disse Lowry scrivendo all’editore
per dissiparne i dubbi, e ubriaca è certo. Da mal di testa più che inebriante.
Malcolm Lowry, Sotto il vulcano,
Feltrinelli, p.426 € 18
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