sabato 28 luglio 2018

Bevendo sotto il vulcano

Un caso riuscito di narrativa barocca. a metà Novecento. Sul nulla, le ultime dodici ore di un ubriacone, il giorno dei Morti del 1938, inglese come Lowry, trapiantato in Messico, come Lowry. Che è anche l’ultimo giorno di vita, sappiamo dal primo capitolo, introduttivo.  Ma questo non cambia, non c’è tragedia, si muore come si vive, ripetitivi, noiosi, lamentosi.
Un esercizio di bravura. Che si legge con simpatia, ma stiracchiato. Alla “Ulisse”, ma senza i problemi che animano l’odissea cittadina di Bloom, la ventina di racconti assemblati da Joyce.
Il Messico è “il paradiso terrestre”. Tutti sono belli-e-buoni col morituro, detto il Console. È stato abbandonato anche dalla moglie amata e amante, Yvonne, sconfitta dal suo alcolismo inguaribile. Ma morirà in sua compagnia, lei è tornata per un ultimo contatto. Accudito da amici fedeli. Il dottore locale, pediatra e psicologo. Il regista-produttore di film francese Laruelle che, artigliere, è stato in guerra al comando del capo-batteria Guillaume Apollinaire, e ora progetta una nuova versione di Faust, rileggendo quello di Marlowe.
Il protagonista è detto il Console perché è o è stato console più o meno onorario dell’Inghilterra a Cuernavaca. Qui ribattezzata con l’antico nome nahuatl. La città sotto il vulcano – in realtà due, I vulcani sono due. Ma ora non più, in un Messico ora filotedesco, anzi filonazista.
Si parte con una citazione impegnativa, dall’ Antigone” di Sofocle: “I prodigi sono molti, nessuno è più portentoso dell’uomo”. Un racconto d’autore per autori. Un libro per questo di culto, già tradotto nel 1961 da Giorgio Monicelli, qui rifatto da Marco Rossari. Ma forse di culto - più che per scrittori, come prova di bravura -  per gli alcolisti e i loro prossimi. “Una Divina Commedia ubriaca” lo disse Lowry scrivendo all’editore per dissiparne i dubbi, e ubriaca è certo. Da mal di testa più che inebriante.
Malcolm Lowry, Sotto il vulcano, Feltrinelli, p.426 € 18


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