“Un libraccio, si dovrebbe dire se fosse
solo un libro di lettura, specie nel racconto del titolo. Ma è la pietra dello
scandalo di una questione molto più grande, e pericolosa: del debordare del
khomeinismo, che già tanto male ha fatto all’Iran, a una civiltà di tremila
anni, nel cuore stesso dell’Occidente, che pure è suo nemico dichiarato.
“La questione è più pericolosa perché
nessuno sembra conoscere alcunché dell’Iran, che pure è una civiltà vecchia e
forte di almeno tremila anni. E nessuno, a dieci anni data, mostra di avere
capito la natura di Khomeini e del khomeinismo – valgono ancora le sciocchezze
che Foucault è riuscito a cucire insieme.
“Di fronte alle manifestazioni di piazza
con morti e alla minaccia di morte a Rushdie e ai suoi aventi causa, editori,
distributori, librai, recensori, non c’è stata una risposta ma una serie di
distinguo. Una rassegna stampa predisposta dalla Mondadori per i quaranta giorni dall’uscita del libro
ne fa il bubbone di una peste.
“Scalfari è perplesso – perplesso
sull’opportunità di pubblicare il libro. Sciascia è contro, come Andreotti: sul
“Corriere della sera” lo dice “probabilmente insulso” – non avendolo letto, come
dichiara Andreotti? Con Sciascia concordano, sempre sul “Corriere dela sera”, l’arabista
Gabrieli e Elemire Zolla. Con qualche confusione, confessando l’uno una scorsa,
l’altro una lettura affrettata. Né
potrebbero averlo letto quelli che, per l’autorità di Umberto Eco, hanno
sottoscritto un appello a favore di Rushdie e del libro: nessuno di loro ne
scrive, pur essendo critici militanti nei giornali, Gudici, Raboni, Porta,
Zanzotto. L’onesto Enzo Golino si segnala per essere solo. E Rosellina Balbi,
capo redattrice cultura a “la Repubblica”, che però si deve assumere il pondo
di recensirlo direttamente.
“Del libro si è detto. Ma la condanna
islamica ne fa un casus belli. Ne
dovrebbe fare, perché invece non lo fa: è appeasement
su tutti i fronti. Una manifestazione di debolezza che, per chi ha anche solo
sfiorato l’islam, è una grave breccia in una guerra non dichiarata ma all-out, totale. Foriera, non ci vuole
molta preveggenza, di violenza diffusa. Proprio quella che i distinguo presumono
di prevenire.
“Una serie di cardinali si è dichiarata
contro, il francese Decourtray e l’americano O’Connor tra i tanti, così come
il gesuita californiano Robert Graham, storico della seconda guerra mondiale, l’arcivescovo
di Canterbury e qualche rabbino. A fini
forse di scongiuro. Tutti professando di non avere letto il libro. Non sanno il
male che (si) fanno. In aggiunta alle vendette che sicuramente si faranno dopo
l’editto khomeinista: distruzioni, assassinii, attentati, anche stragi.
“«I versi satanici» sono in circolazione, in originale, da ottobre. Il
12 febbraio a Islamabad una protesta di piazza contro il libro è finita nel
sangue, quando i dimostranti hanno tentato di assaltare il Centro culturale
americano. Il generale Zia, che pure condanna il libro, è legato agli Usa e la
polizia ha fatto sei morti e un centinaio di feriti. Il giorno dopo morti e
feriti a Srinagar, in India – il primo paese a denunciare come blasfemo Rushdie.
Il 14 febbraio Khomeini si appropria della questione e lancia un editto contro
Rushdie – impropriamente chiamato fatwa,
ma con tutti gli effetti della fatwa, di
sentenza vincolante per il credente.
“L’ayatollah si è espresso in termini molto chiari: «Informo
i devoti musulmani di tutto il mondo che l'autore del libro intitolato ‘I versi satanici’ – che è stato
scritto, stampato e pubblicato in contrasto con l’Islam, il Profeta e il Corano
– e tutti coloro coinvolti nella sua pubblicazione che erano consapevoli del
suo contenuto sono condannati a morte. Faccio appello a tutti i musulmani
zelanti affinché li giustizino in fretta, ovunque essi si trovino, in modo che
nessun altro oserà offendere il carattere sacro dell'Islam. A Dio piacendo,
qualcuno che viene ucciso così è un martire». Al peggio, si è ridotto il caso a uno di polizia. Ma c’è
molto di più – basta poco per saperlo, un minimo di conoscenza di Khomeini, e
dell’islam militante (l’islam è una milizia).
“Alì Khamenei, l’ayatollah probabile successore di Khomeini alla guida dell’Iran,
tre giorni dopo la fatwa, ha argomentato
che se Rushdie si scusava la condanna poteva essere ritirata. Due giorni dopo,
il 19 febbraio, Rushdie si è scusato, professandosi mussulmano. Ma Khomeini ha
ribattuto subito che non potrà mai essere perdonato. Perché Khomeini intende
altro, come è implicito nella sua sentenza e come egli stesso non ha mancato di
dire negli anni.
“Citando Maometto, il «Corano» e l’islam, Khomeini crea un’area di conflitto
vastissima, modellabile dalle autorità islamiche, religiose e non, come un reticolo
universale: potrebbe essere offesa all’islam anche la critica al velo, o alla
poligamia. Critica, e anzi condanna, un’intera cultura, dal redattore o il
critico al fattorino di casa editrice. Si arroga un diritto universale, la
capacità di statuire per tutto il mondo. E di ogni islamico fa un nemico: una
spia, uno che sta qui, a leggere libri o a zappare l’orto, ma sempre intento a
denunciare l’infedele. Il khomeinismo si vuole una pianta infestante.”
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