lunedì 23 luglio 2018

L'autarchia del giudice costituzionale

Il decreto-legge “per la dignità del lavoro e delle imprese” è un ritorno all’autarchia: “Ci riporta indietro di ottant’anni, all’autarchia”. Non è Renzi polemico ma Sabino Cassese. Uno studioso, forse prevenuto col governo essendo di passato socialista – apre con questo proclama una serie di articoli di “L’Economia-Corriere della sera” contro il governo. Ma giudice emerito della Corte Costituzionale, e dunque un giurista navigato, che dice quello che vuole dire, le parole non gli sfuggono.
Cassese dice un’assurdità, ognuno lo vede – non c’è Mussolini, non c’è la guerra all’Etiopia, non ci sono le sanzioni. Tanto più nel merito: l’Italia torna all’autarchia perché il governo sancisce le imprese che, avendo beneficiato di aiuti pubblici, delocalizzano all’estero. Una misura che c’è già, non contestata dall’autorità europea per la Concorrenza (il governo gialloverde si fa bello con la minaccia di renderla attuabile). Ma non solo questo, il giudice emerito dice anche due cose.
Una è la cecità della sinistra. Della sinistra ufficiale – l’ultraottantenne Cassese opera da qualche tempo come consulente di grandi interessi privati, ma è editorialista in quota Pd. Arroccata su un “mercato” che ogni liberale invece critica, prevalendo in esso abusi e prepotenze. Il mercato quale è non è “il” mercato, dell’eguaglianza delle opportunità e della migliore allocazione delle risorse. Solo certa sinistra europea, e più quella italiana, continua a propagandarlo senza criterio.
L’altra è la concezione del diritto come ideologico o del più forte. Per cui si può fare un investimento con i soldi pubblici e poi spiantare tutto e portarselo, così ben dotato, dove il lavoro e il fisco convengono di più. L’autarchia del più forte, si direbbe con gioco di parole sull’anatema del professor Cassese. Della forza del diritto. Con uno spruzzo di ideologia imprestata, e stantia. 
C’è libertà d’investimento, ci deve essere, ma non di truffa. Possibile che a un giurista questo sfugga? A una giurisprudenza malata, e a un preconcetto politico, per quanto suicida, evidentemente sì.

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