martedì 10 luglio 2018

L'Italia è l'Eni

La politica mediterranea dell’Italia la fa l’Eni. In Libia, a partire dall’accordo del 1974, con cui Gheddafi chiuse il suo giro di valzer nelle capitali europee, e prima di  tutto a Parigi. E ora, nel dopo Gheddafi, con la messa in produzione di nuovi giacimenti. In Egitto, con le nuove scoperte di gas e petrolio, dopo aver fatto del Paese un esportatore netto di idrocarburi. E chissà anche a Cipro, con e contro le provocazioni della marina turca, del disegno neo ottomano di Erdogan.
I ministri vanno e vengono da Tripoli e dal Cairo, a nessun esito. I libici e gli egiziani sono gentili e mezzora non la negano a nessuno - i libici e gli egiziani colti. Non è questa la strada: sanno fare la tara delle chiacchiere, non sono stati levantini per nulla,  si muovono sui fatti. 
Non più l’Eni di Mattei, che si doveva svenare per aprirsi valichi nei paesi del petrolio. Un gruppo all’avanguardia tecnica e commerciale. Con notevole senso politico, delle opportunità e delle convenienze. Che da solo fa la differenza con la Francia, che ha tentato di ripercorrerne le tracce senza fortuna – o capacità: la Francia solo sa parlare il linguaggio delle armi, per quanto sofisticate.
Come andrà a finire in Libia, sotto questo ombrello, non fa dubbio - Macron dovrà inventarsi un’altra guerra (ma ora è difficile, non c’è più Obama). C’è l’Eni anche nella decisione dei libici, governo di Tripoli e gruppi armati, di ridurre e anzi abbandonare il mercato dei migranti africani. 
Che l’Eni faccia la politica mediterranea dell’Italia, che sappia farla e basti per farla, non è vero (probabilmente non è vero) ma è come se. Per un motivo: ci vuole poco per fare una buona politica estera, applicazione.

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