Muti, in particolare, si diffonde
su una serie particolareggiata di eventi e personaggi, che diventa nella penna
scarna di Capelli che assurgono a una
sorta di storia della città e della musica in quegli anni. Oltre che su un’aneddotica
non comune sua personale.
Una storia purtroppo di
pregiudizi e censure, anche se la stagione si ricorda viva, ma per
l’ostinazione e la capacità di Muti e del direttore artistico Roman Vlad. Il
quale subì un processo, anche in consiglio comunale, per avere programmato
“Cavalleria rusticana” e “Pagliacci”, opere “reazionarie”. “Erano anni in cui a
Firenze «Il Flauto magico» non si poteva fare perché considerato massonico, e
il comunistissimo Luigi Nono ritirò la sua opera, «Intolleranza», perché il teatro
voleva accostarlo a «Il console» del vituperato Menotti…”. L’orchestra naturalmente
si autogestiva, lungo “linee sindacali”, cioè di partito. Un capitolo della
storia italiana – uno dei tanti? - da riscrivere da cima a fondo: la politica
culturale della sinistra comunista.
Valerio Cappelli, Muti, ritorno a Firenze, Maggio
Musicale Fiorentino
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