Uno dei primi volumetti della
collana “Italia”, ideata da Sciascia nel 1989 – trent’anni fa ancora si poteva.
Cui si devono i primi ripescaggi, Giulio Camillo, Magalotti, Monti, Savarese, e
questa Caterina. Impreziosita graficamente da Enzo Sellerio.
La santa che animò il secondo
Trecento lo fece di persona in tutta Italia, e fino ad Avignone. Ma più lo fece
scrivendo. Benché avesse “poca dimestichezza con la penna”, dice la curatrice
Sara Cabibbo: la patrona d’Italia, che papa Paolo VI ha voluto “dottore della
chiesa”, non sapeva scrivere. Ma non per ignoranza, spiega Cabibbo: al modo di
Ildegarda di Bingen, e poi della santa Brigida svedese o di Teresa del Gesù,
animatrici di una comunità di fedeli. In legame simbolico con san Paolo, da
grande conoscitrice delle Scritture, che anche lui soleva dettare le sue
lettere. Ma non è il solo motivo di interesse. Anzi, il vero interesse è per la scrittura, benché non di suo pugno: i concetti non sono molto originali, le presentazioni sì, irruenti, argomentate, sintetiche, sorprendenti.
Caterina Benincasa ebbe al fianco schiere di fedelissimi, nobili o letterati, che ne costituirono una sorta di segreteria al seguito, anche nei viaggi. Che la chiamavano “mamma”, e ai quali dettava missive, orazioni, discorsi “al dolce suo sposo”, anche tre contemporaneamente. Una sorta di Grande Famiglia itinerante, al seguito di una “mamma” febbrile. Con la missione di salvare il papato e la chiesa, riuscita col ritorno di Gregorio XI da Avignone a Roma. E, con meno fortuna, l’Italia dalle guerre, specie dall’invasione che i Turchi minacciavano risalendo l’Adriatico.
Caterina Benincasa ebbe al fianco schiere di fedelissimi, nobili o letterati, che ne costituirono una sorta di segreteria al seguito, anche nei viaggi. Che la chiamavano “mamma”, e ai quali dettava missive, orazioni, discorsi “al dolce suo sposo”, anche tre contemporaneamente. Una sorta di Grande Famiglia itinerante, al seguito di una “mamma” febbrile. Con la missione di salvare il papato e la chiesa, riuscita col ritorno di Gregorio XI da Avignone a Roma. E, con meno fortuna, l’Italia dalle guerre, specie dall’invasione che i Turchi minacciavano risalendo l’Adriatico.
“Io, serva e schiava” è solo
una prima parte della diminutio, che
recita “serva e schiava dei servi di Gesù Cristo”. La santa domina con l’iperbole.
Insistita, eccessiva, e tuttavia accattivante. Non ha progetti né proposte e
tanto meno intrighi da imporre o difendere, se non, in queste lettere, il ritorno
del papa a Roma, e la crociata contro i Turchi, ma trascina. Il suo modo è il superlativo,
di ogni tema piccolo o grande che affronta, la sua arma l’entusiasmo. Anche sui
temi ordinari, della moralità corrente: “L’amore non si acquista se non con l’amore”,
“il morto non può sotterrare il morto, colui che è morto a Grazia non ha né ardire
né vigore di sotterrare il morto del difetto del prossimo suo”.
Un personaggio fantastico,
con il metro di oggi, se non fosse esistito. Figlia di un tintore, del quartiere
artigiano di Siena, Fontebranda, e di una Lapa di Puccio di Piagente, che
“quasi ogni anno partoriva un figlio o una figlia e che spesso concepì gemelli
o gemelle (Raimondo di Capua, “Legenda maior” – il domenicano Raimondo fu uno
dei corrispondenti), ventiquattresima di venticinque figli, sopravvissuta alla
gemella per essere stata allattata dalla madre. Una predestinata, le agiografie
sono univoche, ma una che si meritò la fama immediate, e poi la
beatificazione..
Mantellata domenicana a
diciassette anni, e per questo oggetto in morte di una “Legenda maior” e una
“Minor”, più un “Supplementum” dei
domenicani a fini promozionali, ma personaggio storico di tutto rispetto, in vita
ancora più che in morte. In questa scelta corrisponde con ogni sorta
d’interlocutore, rispettosa ma senza remore, assennata e convincente: papi,
regine (d’Ungheria, di Napoli), condottieri, cardinali, badesse.
Caterina da Siena, Io, serva e schiava, Sellerio,
remainders, pp. 174 € 2,58.
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