L’Italia di Di Maio e Salvini fa paura all’Europa, cioè a Merkel
e Macron? Oppure è meglio così, meglio per loro? Meglio avere l’Italia che dice
e fa sciocchezze – debole? L’una e l’altra.
L’unico problema di Merkel e Macron è di durare abbastanza per
disinnescare le mine antisistema, gialloverdi si direbbe all’italiana, nei
rispettivi paesi. Contro le quali entrambi si dibattono. Entrambi hanno davanti tre anni buoni di governo
assicurati, abbastanza per far “vedere” il bluff italiano, per sgonfiare la
bolla interna.
Non è una minaccia il voto europeo fra dieci mesi, per la possibiltà
che esso avvii il riflusso del gialloverdismo – populismo o avven turismo che
sia. Per l’inevitabile reazione dei “berlusconi”, o “altra destra”, degli affari, d’impresa e non
– già rumorosamente pentita di avere plebiscitato la Lega – e delle masse
attaccate alla rendita, un terzo della popolazione. Nel caso peggiore, di
vittoria gialloverde, per avere un Parlamento europeo che, inefficace sul
piano pratico, servirà a far emergere le inconsistenze dei due movimenti. In una
eventualità o nell’altra, l’Italia gialloverde fa di nuovo comodo a Merkel e
Macron.
È l’orientamento anche dei media nei due paesi chiave della Ue.
Cinico, ma non senza ragione. Avere comunque l’Italia fuori dai nodi decisivi serve
sia a Merkel che a Macron: la Libia, l’immigrazione, le banche, i bilanci, e
ora il grande business difesa. E
più si svilupperà l’avventurismo italiano più
se ne scoraggerà la deriva temuta in Germania e Francia: l’isolamento sulla questione
migranti, la disoccupazione di ritorno, il crollo degli investimenti dopo una
brevissima ripresa, l’esclusione dai piani miliardari della difesa, non
tarderanno a scoraggiare i fervori paranazionalistici nei due paesi. .
L’Italia non può uscire dall’Europa, ma non sarà più
terzo incomodo. Merkel e Macron non lo dicono, ma fanno come se. I primi incontri,
incuriositi, con Conte, il carneade professore di piccola taglia, un po’
fantasista, senza un minimo di peso politico, li ha esilarati. Anche perché con
Conte, buon linguista, il rapporto è stato diretto, senza le sacralità della
funzione.
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