Capitale - È personale
all’origine, e patrimoniale. Si socializza col tempo – molto tempo – e come una
concessione. In parte costretta, in parte “capitalistica”, cioè intesa alla
crescita del capitale stesso.
Originariamente inteso privato in misura
anche estesa, a dimensione statuale. In quelli che M.Weber chiama Stati
patrimoniali. Che tuttora si perpetuano
nella penisola arabica. Dove i regnanti si appropriano non contestati del bene
pubblico massimo, la rendita petrolifera. Che solo in parte spendono a
beneficio della nazione. Di più investono per disperdere e non per
moltiplicare, in squadre di calcio a nessun beneficio, nemmeno d’immagine
(prodigalità, mecenatismo), e senza criterio di gestione, megayacht
inutilizzati tutto l’anno, megapalazzi, idem, firme del lusso, e la moltiplicazione delle
meraviglie nei figli. Le figlie comprese, il cui destino è di restare
segregate, e tanto più se intelligenti, attive e belle, con o senza velo.
Le donne in Arabia Saudita sono un lusso
che contrasta con le teorie economiche del lusso, da Mandeville (“La favola
delle api”) in qua, Marx compreso e Sombart. Del lusso o consumo ostensivo come
generatore e diffusore di ricchezza, e quindi di risorse.
Il capitale è senza regole, anche se si fa
un dovere di spiegarsi.
Carità
–
È dovuta – e quindi non virtuosa, non titolo di merito? Simmel, “Il povero” (in
realtà “I poveri”) registra un “diritto alla carità” (pubblica). Come diritto
fondamentale: “Il diritto alla carità appartiene alla stessa categoria del
diritto al lavoro e del diritto alla vita”. Anche se poi concluderà all’“antinomia
sociologica dei poveri”. È un diritto, insiste Simmel, “posto al di sopra e al
di là del povero”: “Il diritto che corrisponde all’obbligo dello Stato, secondo
il quale questo deve assistere il povero, non è il diritto del povero ma
piuttosto quello di ogni cittadino”, in quanto contribuente.
L’assistenza è invece sempre egoista, la
carità privata, anche quella di corpo, sempre secondo Simmel: “L’aiuto fornito
dai sindacati britannici ai loro membri senza lavoro ha per scopo non di alleviare la situazione
personale del beneficiario ma d’impedire
che i disoccupati, per bisogno, vadano a lavorare altrove per pochi soldi, ciò che genererebbe salari
più bassi in tutto il settore”.
Anche nella cooperazione, si dà a
beneficio (indiretto) di sé, in quanto gruppo o nazione. È il principio della
cooperazione internazionale. Che la “cooperazione internazionale” cioè
sessant’anni dopo comproverà, che nei saldi dei conti correnti (merci e
servizi) con i paesi beneficiari registra sempre attivi per i paesi donatori.
Volendo, con un certo fondamento nel Vangelo, nota Simmel: “Quando Gesù dice al
giovane ricco ‘dai tuoi beni ai poveri’,
ciò che sembra importagli non sono i poveri ma piuttosto l’anima del’uomo
ricco, il sacrificio non essendo che un mezzo o un simbolo di salvezza”. E
nella chiesa: “Più tardi, l’elemosina cristiana conserva questo stesso
carattere; non rappresenta che una certa forma di ascetismo, di buon lavoro che migliora le possibilità
di salvezza del donatore”.
Essere
–
È dei romanzi. Della memoria (rimpianto, sogno, nostalgia, rifiuto) e della
fantasia? Immateriale ma non inesistente, e anzi più insistente, duro, coriaceo.
Intrasformabile, anche se, come Sainte-Beuve notava, “ogni lettore è un
filologo”..
Umberto Eco ne tratta a proposito della
visibilità (in una delle conferenze estive alla Milanesiana, “L’invisibile”,
ora nella arccolta “Sulle spalle dei giganti”): tante realtà, che si seguitano
e anche ci perseguitano, sono invisibili. Raffigurabili, ma immateriali. Non
con una forma propria, e nemmeno con un esser-ci proprio: creazioni. Creazione
forse non precisa né conclusa, ma estesa e non scalfibile: “I personaggi della
narrativa non solo sono inventati, e quindi secondo il buonsenso inesistenti (e
ciò che non esiste non può essere visto), ma sono invisibili anche in quanto
espressi non attraverso immagini ma attraverso parole, e spesso neppure
descritti con dovizia di particolari fisici. Eppure questi personaggi esistono
in qualche modo al di fuori dei romanzi”, in “infinite immagini di ogni
genere”.
Per esempio Anna Karenina. O Dumas de “I
garibaldini”, quando, visitando lo Chateau d’If in rotta verso Quarto e la
Sicilia, dove aveva rinchiuso per quattordici anni Edmond Dantès, prima di farlo
conte di Montecristo, e dove lo aveva fatto visitare dall’abate Faria: “È un
privilegio dei romanzieri creare personaggi che uccidono quelli degli storici.
La ragione è che gli storici evocano solo meri fantasmi mentre i romanzieri
creano persone in carne e ossa”.
La prima ontologia è quella del concetto
stesso, della parola, di “essere”. Materiale, tangibile?
Iliade
–
Il poema della forza, per il famoso titolo di Simone Weil. Ma è il poema della necessità, del destino. Della guerra, ferra necessità
cui nessuno può sottrarsi, né per meriti né per forza o astuzia. Dal punto di
vista del progresso, delle età della storia, è il culmine dell’età del bronzo,
di una bronzea necessità cui gli uomini sottostanno – di passioni senza senso,
nemmeno di interessi più o meno
benthamiti, egoisti.
Povertà
–
Simmel, che molto l’ha studiata, ne fa in conclusione una “antinomia
sociologica”. In ragione delle “difficoltà socio-etiche dell’assistenza”. Che è
un diritto, ed è un egoismo (v. “Carità”).
La questione rientra dunque in quelli
che nel Medio Evo si consideravano insolubilia, espressioni o ragionamenti
passibili di duplici e configgenti interpretazioni. Chi è povero? Rispetto a
che, a chi? “La povertà è un concetto relativo”, conclude Simmel: “Non è che a
partire dal momento in cui sono assistiti – o forse da quando la loro
situazione globale avrebbe dovuto esigere assistenza, benché non sia ancora concessa
– che divengono membri di un gruppo caratterizzato dalla povertà”. I poveri
come gli stranieri - oggi diremmo gli immigrati.
Alla fine Simmel collega il povero allo
straniero. “Che anche qui si trova confrontato al gruppo. Ma il fatto di essere confrontato implica anche una relazione specifica che trascina lo
straniero nella vita del gruppo come uno dei suoi elementi”. Con una
particolarità: “Essere al di fuori non è in breve che una forma particolare di
essere all’interno”. Come è vero di tutti i gruppi, e gli elementi del gruppo –
anche “nelle strutture semplici, quale il matrimonio”. Parte non attiva. Dei
poveri Simmel dirà in conclusione: “Questo gruppo non resta unito dall’interazione
dei suoi membri, ma dall’attitudine collettiva che la società, in quanto tutto,
adotta al loro riguardo”.
Segreto
–
È vuoto – deve essere vuoto? Il vero contenuto segreto è il vuoto – che non ci
sia segreto. È la tesi di Umberto Eco, “Il complotto” (ora in “Sulle spalle dei
giganti”). Ma questo equivale a dire vuoto il potere – compreso quello della
chiacchiera, della parola. Un controsenso.
Il segreto è una corazza, impalpabile, e uno stimolante.
Bere caffè viaggiando in autostrada, protetti da airbag invisibile.
Non c’è segreto inviolato, non sarebbe “segreto”, lo stimolante. Il segreto
va annunciato\denunciato, comunicato.
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