Diritti
-
La bilancia dei diritti è sottile nei rapporti interni alla tribù, dove la
cimice è uguale all’elefante, per il dovere dell’uguaglianza. Del singolo di
fronte al gruppo e alla stessa comunità. Dello stesso criminale di fronte alle
sue vittime.
Qualcosa va rivista nella dottrina dei
diritti. Che pure era stata ampiamente “assestata”, da Kant e Constant, e dalla
pubblicistica liberale. Il tutto diritti è una sovversione, ma contro chi, contro
che? Sembra un autogoal, non fortuito evidentemente trattandosi di
riflessione, senza vantaggio per
nessuno. Per non dire che una società di tutti diritti è impraticabile. “I
diritti sono sacrosanti e vanno tutelati. Se però continuiamo a vivere di soli
diritti , di diritti moriremo. Bisogna riscoprire il senso e la dignità dell’impegno,
il valore del contributo che ognuno può dare al processo di costruzione dell’oggi
e soprattutto del domani”: si può dirlo con Marchionne, un manager non digiuno
di filosofia. O col dimenticato Mazzini.
Essere
–
È dei romanzi. Della memoria (rimpianto, sogno, nostalgia, rifiuto) e della fantasia?
Immateriale ma non inesistente, e anzi più insistente, duro, coriaceo, in
trasformabile - ,a nion implasmabile.
Umberto Eco ne tratta a proposito della
visibilità (in una delle conferenze degli anni 2000 e 2010 alla Milamesiana,
“L’invisibile”, ora in “Sulle spalle dei giganti”): tante realtà, che ci
seguitano e anche ci perseguitano, sono invisibili. Raffigurabili, ma
immateriali, non conformati fisicamente. Non con una forma propria, e nemmeno
con un esser-ci proprio: creazioni. Creazione forse non precisa (perfetta) é
conclusa, ma estesa e non scalfibile: “I personaggi della narrativa non solo
sono inventati, e quindi secondo il buonsenso inesistenti (e ciò che non esiste
non può essere visto), ma sono invisibili anche in quanto espressi non
attraverso immagini ma attraverso parole, e spesso neppure descritti con
dovizia di particolari fisici. Eppure questi personaggi esistono in qualche
modo al di fuori dei romanzi”, in “infinite immagini di ogni genere”.
Per esempio Anna Karenina. O Dumas de “I
garibaldini”, quando, visitando lo Chateau d’If, in rotta verso Quarto e la
Sicilia, dove aveva rinchiuso per quattordici anni Edmond Dantès, prima di farlo
conte di Montecristo, e dove lo aveva fatto visitare dall’abate Faria: “È un
privilegio dei romanzieri creare personaggi che uccidono quelli degli storici.
La ragione è che gli storici evocano solo meri fantasmi mentre i romanzieri
creano persone in carne e ossa”.
La prima ontologia è del concetto
stesso, della parola, di essere. Materiale, tangibile? Verbale, mentale? Della
materialità del pensiero?
Felicità
–
“Se credeste di aver trovato la felicità, non sentireste il bisogno di
dividerne la ricetta con tutti?” “No.” “Io sì. Non potrei credere che sono
felice se non vedessi altri uomini vivere nella mia stessa maniera. Così ho la prova della mia felicità”.
Baudelaire fa svolgere questo argomento a un belga, a Bruxelles, come prova
della stupidità dei belgi. Ma il suo argomento è migliore? “Tali erano i discorsi
di un Belga che, senza nessun incitamento da parte mia mi si è appiccicato
quattro ore per raccontarmi che era ricchissimo”, etc. , “e tutto questo perché,
sperando di sbarazzarmene, gli avevo detto che per me non c’era felicità se non
nella solitudine”.
Un tema apparentemente da insolubilia, antinomico – vero per un
verso, e per il suo opposto. Ma è, come Dio, un problema (pensiero) che
distingue l’uomo nell’animalità – in quel 2 per cento, o 0,2 per cento?, che
differenzia l’uomo dall’orango.
Iliade
–
Il poema della forza, per il famoso titolo di Simone Weil. Ma più,
quantitativamente e nell’atmosfera, è il poema della necessità, del destino.
Della guerra, ferrea necessità cui nessuno può sottrarsi, né per meriti né per
forza o astuzia.
Dal punto di vista del progresso, delle
età della storia, è il culmine dell’età del bronzo. Figurativamente, di una
bronzea necessità cui gli uomini sottostanno. Di passioni senza senso, meno che
mai di razionalità o interesse benthamita, utilitarista
Poema della giustizia lo dice Citati,
leggendolo interlinearmente. Ma della forza circa della giustizia, e
inappellabile.
Redenzione - La Didaché è semplice, la Dottrina dei
Dodici Apostoli: due sono le vie, della vita e della morte, e la differenza è
grande. La via della vita è netta: anzitutto amerai Dio che ti ha creato, poi
il prossimo tuo come te stesso.
Sapienza èignorare il male. La Praefatio dell’ufficio funebre, anche
nel nuovo Messale Romano, è “vita mutatur
non tollitur”. Non si muore, la redenzione è il segreto del cristiano, la
redenzione in vita, Giobbe bestemmia quando dice: “Un uomo che muore è finito”.
S i rinasce, Senza inganno, la redenzione è in vita.
Sogni – Freud li
analizza scomponendoli. Li ricolloca nel passato, immenso deposito memoriale da
cui vengono, insorgenze occasionali ma non fortuite. Pieni di sensi, nelle pieghe
e nell’insieme. Che Freud scompone e ricompone, con distinzioni, dislocazioni,
classificazioni. La lettura tradizionale, o non freudiana, è della occasionalità.
Ma più del vaticinio, per quanto oscuro: il sogno non sommuove-rimuove il
passato, anticipa il futuro, oscuramente, minacciosamente – il. Futuro è una
minaccia per la ragione, in ragione della sua stessa oscurità.
Teatro
– “L’esaltazione
della morte è un teatro politico”. Chi lo diceva, nessuno? L’esaltazione è
teatro – e viceversa, è vero anche del teatro intimista. Il teatro protegge, la
rappresentazione. La distanzi azione. È un rimedio terapeutico naturale –
spontaneo.
Transitiva – Una
“proprietà” spontanea (naturale), benché-ma di nessuna consistenza logica. O
alla Sherlock Holmes, artificiosa - naturale per essere sottile, ingegnosa.
A Bruxelles, dove si era infognato negli
ultimi due anni di vita, benché disprezzasse tutto dei belgi, Baudelaire ne fa involontaria
esposizione burlesca (“mi sono servito dell’ironia”) – tutto è possibile: “A
tutti quelli che mi domandavano perché restassi così a lungo in Belgio (non
amano che gli stranieri restino troppo a lungo) io rispondevo confidenzialmente che ero un informatore
della polizia. E mi hanno creduto! Ad altri che mi ero esiliato dalla Francia
perché là avevo commesso crimini”, etc. etc., “E mi hanno creduto! Esasperato,
ho dichiarato che ero non solo assassino ma pederasta. Questa rivelazione ha
portato a un risultato del tutto inatteso. I musicisti belgi ne hanno concluso
che Richard Wagner è pederasta”. Baudelaire fu uno dei primissimi apostoli di
Wagner – e purtroppo dello spirito wagneriano.
L’induzione è un procedimento rischioso,
arrischiato, e pericoloso. In nota, i curatori di Baudelaire, “La capitale
delle Scimmie”, un volume che assembla tardivamente le sue annotazione contro
Bruxelles e il Belgio, i curatori lo dicono: “Baudelaire, oltre allo scritto su
Wagner, doveva aver lodato Wagner in pubblico, e gli ascoltatori ne avevano
ricavato l’impressione riportata nella nota”.
zeulig@antiit.eu
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