Non si sa niente dell’Africa.
E anche del Medio Oriente, si sa poco più di niente. Pur essendo l’una e
l’altro stati scoperti da tempo, neanche tanto remoti, anzi alla porta di casa,
e da tempo nel Grande Gioco kiplinghiano, dell’imperialismo, ora sotto la forma
della globalizzazione – che Bauman confonde con “un solo pianeta, una sola
umanità”. L’Africa, dopo le indipendenze cinquant’anni fa, si è eclissata e più
non ce ne occupiamo, se non per i tanti inermi africani che vengono a morire
nel canale di Sicilia. E non si pensa di doverlo fare. I giornalisti, pur a
caccia di storie strane o avventurose, non vedono quelle africane: di giovani reclutati nei
villaggi e nelle periferie del continente per costosi della speranza,
che si riducono a ingrossare le fila nelle città europee delle piccole mafie, per lo più africane, dei
lavori meniali, degli ambulanti di falsi, dell’elemosina, e anche del
malaffare, droga e prostituzione – un
solo reportage è stato fatto, dalla Nigeria, per un settimanale
americano, il “New Yorker”(uno solo). I filosofi, pur compassionevoli, non ci
pensano nemmeno.
Dietro l’ovvio, “noi siamo un
solo pianeta, una sola umanità”, l’approccio sbagliato. Donatella Di Cesare ne
fa involontaria summa nella pur breve introduzione. La destabilizzazione del
Medio Oriente dice dovuta a (“seguita a “) “gli azzardi politici e militari –
malconcepiti, terribilmente miopi e dichiaratamente abortiti – delle potenze
occidentali”. Occidentali, che vuol dire?E quali azzardi, di Bush jr., di
Obama, di Trump? Di Sarkozy o di Hollande? Di Merkel, per caso? Della perfida
Albione? Nel Medio Oriente?
Subito dopo una pagina
mozzafiato sugli assetti africani e mediorientali, improvvisamente “teatro
d’interminabili guerre tribali e settarie, di stragi, e delle imprese di
banditi che spadroneggiano senza sosta e nel disprezzo di qualsiasi regola”.
Non improvvisamente, effetto delle guerre umanitarie. Ersatz effettivamente subdolo delle guerre di liberazione, per
esportare la democrazia e il benessere, che hanno dissestato una mezza dozzina
di paesi, Egitto, Libia, Siria (e Libano), Iraq, Afghanistan.
E ancora: “Siamo tutti
stranieri residenti”. Bella formula, ma non lo siamo, ed è meglio così –
l’ideologia dello sradicamento ha causato brutti lutti, non c’è bisogno di
essere Simone Weil per saperlo. Anche per poter essere di aiuto agli sradicati.
O l’Africa, ancora terra incognita. A Sud del Sahara è
sempre stata più “uno scenario di caos senza fine”. E quindi? Non si può dire
questo caos effetto di “un mercato globale delle armi privo di qualsiasi
controllo” e alimentato “da un’industria bellica assetata di profitti”: si
scambia l’effetto per la causa.
Siamo solo alla quinta
pagina, ma ce n’è abbastanza per vedere gli assunti, benché generosamente
indefiniti, di Baumann traballare. L’inventore della “società liquida” ha
svolto bene il compito, informandosi in dettaglio malgrado l’età avanzata –
questo è il suo ultimo libro – a New York e Washington, a Bruxelles e altrove
in Europa. Perfino con Christopher Catrambone, quello del business dell’accoglienza. Ma stando ben al di qual del
Mediterraneo: non sa, e purtroppo non se ne occupa, di che cosa realmente
stiamo parlando.
Tutto corretto, con citazione
di papa Francesco. Con corredo di Kafka, come a dire l’incomprensibilità delle
resistenze all’immigrazione di massa. Ma uno stridulo senso di non appartenenza
permea Bauman. “I governi non hanno interesse a placare le ansie dei loro
cittadini”, afferma nel mezzo del terrorismo islamico tanto crudele in Francia.
Anzi, alla “lotta ai terroristi” dà “il ruolo di «primo volino»”, nell’orchestrazione
sottintesa del terrorismo. Dell’Europa scrive come di un continente razzista,
mentre non lo è – è uno dei pochi posti al mondo che non lo è. Dell’America
prende per buono il background del fenomeno Trump nell’analisi di Robert Reich, “Donad
Trump and the Revolt of the Anxious Class”: “Due terzi degli americani vivono
con i soldi contati. La maggior parte può perdere il lavoro in ogni momento.
Molti appartengono alla crescente manodopera «a chiamata», lavorano solo se e
quando servono, pagati a discrezione. Se non ce la fanno a pagare l’affitto o
il mutuo, il negozio di alimentari o le bollette, finiscono a gambe all’aria”.
Se fosse vero, sarebbe da rivoluzione di piazza, altro che Trump. Bauman lo
crede vero, ma non critica i governi della globalizzazione che avrebbero così
immiserito l’America, da Clinton a Obama, e si diffonde sul voto a Trump come
un rigurgito di razzismo.
Ci sono sempre migrazioni,
dice, “le migrazioni di massa non sono certo un fenomeno nuovo”. Ma per
contiguità, territoriale, etnica, di fede, di lingua, di storia. Non si è mai
ipotizzata un’Europa asiatica (cinese, Indiana). O un’Asia europea – è
semplice: l’India non è la Germania. Gli europei ci hanno provato, in America Latina
e in Africa, ma in programmi che si chiamavano di conquista, imperialisti.
I buoni propositi non
esimono, se inducono all’errore. E anzi danneggiano la questione o causa, non
la aiutano. Occorre tirare fuori l’Africa, e lo stesso Medio Oriente, dalla
minorità. Bisogna dare – contribuire a
dare, non si può essere molto paternalisti - un futuro all’Africa e agli
africani, ma con gli africani. Non da missionari, non da volontari, per quanto
benevoli.
Zygmunt Bauman, Stranieri alle porte, Corriere della
sera, pp. 104 € 7,90
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