venerdì 3 agosto 2018

C come corruzione

Doveva servire il centro di Roma e invece serve, servirà, una periferia. Doveva essere automatizzata, driverless, e invece non lo sarà. Doveva costare 2,4 miliardi e invece ne costerà il doppio. Doveva essere trasparente e invece ha generato cinquemila subappalti, incontrollabili e incontrollati - soprattutto del partito degli ingegneri e architetti. Con un uso ora documentato di cemento scadente. Doveva essere completata nel 2007.
Non è tutto. L’opera più costosa d’Europa poteva essere realizzata in project financing negli anni 1990, cioè gratis. La vera linea C, l’anello al centro di Roma, che avrebbe liberato la città dal traffico. Non l’attuale, che è l’ennesimo progetto che fa comodo ai costruttori-immobiliaristi: una freccia verso un quadrante extraurbano per valorizzare aree costruite o da costruire. L’avrebbe realizzata il consorzio francese costruttore della metro ad alta profondità di Lille, in cambio di  una concessione trentennale.
L’allora sottosegretario alla presidenza del Consiglio, 1995-96, Nicola Scalzini, con delega per le aree urbane – Roma Capitale e Giubileo 2000 - pensò a una grande occasione. Ma si scontrò col silenzio del committente, la Giunta Rutelli, cioè col rifiuto. Col rifiuto cioè di Geronzi (Banca di Roma) e Bettini (il futuro creatore del Pd), i veri assi della giunta, della Grande Bonaccia destra-sinistra, degli appalti equamente divisi per tutti. Scalzini, un economista con molte pezze d’appoggio, è tuttora attivo, ma nessuno sente il bisogno di farlo parlare: le cronache romane sono solerti, ma con juicio.
La metro C di Roma è caposaldo della corruzione in affari anche per altro aspetto, la tecnica spartitoria. Da allora nessuno ha più sentito parlare dell’obbligo per i grandi lavori di un’asta aperta a tutti i costruttori europei. Alle aste dei grandi lavori, anzi, si presenta un solo concorrente: la spartizione si fa prima.

Nessun commento:

Posta un commento