Asia Minore La nozione e la terminologia sono sparite,
desuete e anzi dimenticate. Svanite, soppiantate dalla Turchia, una realtà in
ogni piega arcigna, nel solo ultimo secolo con gli Armeni, i Greci, i Curdi, e
ora Erdogan. Erede del’impero ottomano ostile, e di occupazioni in serie, da
Costantinopoli e Otranto all’Egeo, al Mediterraneo e all’Adriatico, ovunque
distruttive – basta chiedere ai greci. Mentre è la regione della prima civiltà
ellenica, e quindi dell’Occidente. I poemi omerici vi furono composti, tra
l’VIII e il VII secolo. Erodoto vi nacque il secolo successivo, ad Alicarnasso
(Bodrum).
Crociate – È
d’uso chiedere ammenda per le Crociate, in termini di eurocentrismo, di
imperialismo, di intolleranza, e di semplice spoliazione, ladronesca. Ma furono
atti e guerre di difesa. La quale è, se possibile, l’attacco, va combattuta in
territorio nemico, e può essere giusta perfino se preventiva. Se c’è una guerra
giusta, questa sono le Crociate. La Conquista islamica precede di molto le
Crociate. Ed è molto più vasta, continuativa, organizzata.
La
storia delle Crociate che regge il giudizio critico è di Steven Runciman, un bizantinista, antilatino (antioccidentale) per principio - più che antislamico.
Occidente – È in
continua penitenza, per le colpe storiche: la “conquista”, dopo la scoperta,
dell’America, con lo schiavismo connesso, e il colonialismo
dell’Otto-Novecento. Ma l’Occidente è una concezione difensiva: l’Occidente
nasce e muove a difesa - e in questo e per questo come cristianità, anche se i
costituenti europei grandi massoni, da Giscard a Amato, si sono industriati di
sradicarlo. Dal V al XVII secolo, per milletrecento ani, contro i barbari, gli
arabi, i turchi, per mare e per terra.
La
critica e l’autocritica sono anch’esse un fatto occidentale, e quindi un titolo
di nobiltà, d’animo e di storia. Ma nel giudizio critico è necessario includere
la storia.
Po e Reno - Due unificazioni profondamente diverse. Popolare, checché se ne
dica, quella italiana, imposta ai Savoia – con la partecipazione, certo, di
Cavour. Negli Stati del Centro Italia, compresi quelli del papa, come già
tentativamente a Venezia, e al Sud. Come e perché i Borboni si sono trovati soli,
anche a fronte del loro stesso esercito, è storia che non è stata scritta. Non
nel senso giusto: senza l’insorgenza popolare, quela dei Mille sarebbe stata un’avventura
di Garibaldi fra le tante che tentò. La Germania invece corona il disegno
bisecolare della Prussia. Plurisecolare, ma definito e perseguito, con la
diplomazia e con l’esercito, nel Sette-Ottocento. E si realizza contro i due
nemici bisecolari del regno, l’Austria e la Francia. Questo è agli atti, alle fonti della storia, e
anche visibile a occhio nudo: dagli anni 1860 in poi sarà un’altra Germania,
sarà la Prussia ingrandita. Non più bonacciona, contenta, beona, poetastra.
Si dice la Germania dall’ubriachezza
cattiva. Che si imputa alla birra, ma non può essere, con la birra si fanno
anche Dickens e Mark Twain. Arcigna e sospettosa, quale è oggi: non più militarizzata
ma egualmente imperialista. Ben due guerre micidiali ha scatenato per affermare
il chiodo di grande potenza della Prussia nel mondo, e non è sazia. La Germania
si unifica non ilare, né libertaria: ha fatto presto, prestissimo, a dimenticarsi
del ruolo di questuante politica che ha avuto fino al 1990, coi russi a Berlino.
Germania e Italia
avevano evoluto all’unisono nel primo Ottocento, “liberate” dalla rivoluzione
francese e da Napoleone. In questo
alveo maturarono il nazionalismo, entrambe come risorgimento di un passato
glorioso che avrebbe concimato un futuro altrettanto robusto.
In
questo senso Marx e Engels si esprimevano ancora nel 1859, “Po e Reno”. Anche
il nemico era lo stesso, l’impero asburgico. A cose fatte Engels plaudì
all’unità d’Italia, in sintonia con l’Europa, che il Risorgimento aveva
elettrizzata. Con Marx condivise nel saggio però l’apprezzamento per la
Realpolitik di Cavour, che dal niente aveva ricavato uno Stato grande e
nazionale, più che per i movimenti di popolo che il Risorgimento avevano propiziato e alimentato.
Uno strabismo in chiave germanocentrica, guardando a una Germania unita sotto
la Prussia, anche se non ancora sotto Bismarck, e alla Grande Germania, di
tutti i tedescofoni.
Engels
teorizza nel saggio, col conforto di Marx, che un attacco di Napoleone III sul
Reno porterà, con la guerra difensiva in Germania, a una rivolta centroeuropea
contro la Russia, alleato della Francia. In “Po e Reno” Engels ipotizza che la
Germania, attaccata sul Reno, si allea con l’Austria asburgica contro la
Francia e il Piemonte. Marx e Engels sono al fianco dell’Austria nella Seconda
guerra d’indipendenza italiana.
Il saggio fu ideato da Engels ai
primi di febbraio del 1859, quando era già certa la guerra tra Francia e
Austria, e un mese dopo era già scritto. “Eccezionalmente intelligente” lo
giudica Marx in una lettera il 10 marzo, e consiglia di pubblicarlo anonimo in
Germania per evitare la “congiura del silenzio”. Così avvenne: fu stampato un
mese dopo in Germania in mille copie, ed ebbe eco diffusa. In prevalenza
favorevole, specie tra i militari. Tutte le recensioni misero in rilievo la
giustezza delle considerazioni militari, sul presupposto che l’autore fosse un
esperto di cose militari. Con una riserva, da parte dei grandi giornali
conservatori, sulla convenienza, che Engels argomentava, di abbandonare i
territori italiani. Prima di questa conclusione, anzi in premessa, Engels
raccoglie lo slogan diffuso in Germania “il Reno dev’essere difeso sul Po”,,
cioè a fianco dell’Austria. E lo giustifica: “Si presentiva in Germania, con intuito corretto, che benché il
pretesto di Luigi Napoleone fosse il Po, in ogni caso il suo ultimo obiettivo
non poteva essere che il Reno”. Engels argomenterà poi estensivamente
che non è necessario “mantenere” i territori italiani, ma sul presupposto che
la Germania e l’impero austriaco fossero tutt’uno.
Populismo –Nasce e si alimenta con la sfiducia nei media, secondo uno studio
del Pew Research Center, istituto americano di analisi statistiche. Che ha
rielaborato indagini demoscopiche svolte in Italia e in altri paesi europei,
Danimarca, Francia, Germania, Olanda, Spagna, Svezia e Uk, dove i movimenti
populisti hanno fatto valanga. Il populismo si segnala per la “sfiducia nei
media” più che per la sovranità o contro, o fra destra e sinistra. È vero però
che, per lo stesso istituto, a monte del rifiuto dei media c’è già una
concezione sociopolitica populista: “La volontà popolare è la fonte di
legittimità del governo”, c’è una élite
contro il popolo, il popolo è buono, l’élite
corrotta.
La ricerca, insomma, è circolare.
Ma è vero che i media hanno un ruolo centrale nello scollamento dell’opinione.
Nel rifiuto del’opinione, giacché il populismo è, pur confuso, fondamentalmente
questo.
Rodetta – Nome di un colle o monte svizzero, di cui in un corsivo del
“Manifesto” nel 1985, con cui veniva chiamato il conto svizzero del Pci dove
confluivano gli sfioramenti” (tangenti) sugli acquisti di gas russo da parte
dell’Eni e sulle vendite di tubi per condotte di idrocarburi da parte di
Italsider.
Rubare – Si fa – si faceva? – largamente per fini politici. Ma con due
opposte motivazioni, o etiche politiche, che il giudice Carlo Nordio, forte
della sua esperienza a Venezia e nel Veneto, classifica di due tipi – in un
saggio apposto come appendice a Bigazzi-Stepankov, “Il viaggio di Falcone a
Mosca”. Il Dc nega ogni appropriazione, “sul tradizionale connubio
cattolico-machiavellico che caratterizza la nostra tradizione”. Mentre il Pci,
o ex, cogliendo “la vera portata politica del problema”, ha fatto l’opposto coi
“propri indagati colti in flagrante delitto”: negare tutto sempre, e se messi
davanti alla prova “sostenere di avere rubato per tornaconto proprio”. Sul
presupposto - fatto valere vantaggiosamente in Mani Pulite - che è più grave
rubare per sé che per il partito. Nordio anticipa nel preambolo del saggio il
giudizio: “La ruberia a favore del partito è un doppio misfatto, economico e
politico”. Si ruba sulle tasse, sulla ricchezza nazionale. Senza contare il
tradimento se si ruba a favore o con la connivenza di una potenza ostile.
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