venerdì 24 agosto 2018

Il mondo com'è (351)

astolfo


Asia Minore  La nozione e la terminologia sono sparite, desuete e anzi dimenticate. Svanite, soppiantate dalla Turchia, una realtà in ogni piega arcigna, nel solo ultimo secolo con gli Armeni, i Greci, i Curdi, e ora Erdogan. Erede del’impero ottomano ostile, e di occupazioni in serie, da Costantinopoli e Otranto all’Egeo, al Mediterraneo e all’Adriatico, ovunque distruttive – basta chiedere ai greci. Mentre è la regione della prima civiltà ellenica, e quindi dell’Occidente. I poemi omerici vi furono composti, tra l’VIII e il VII secolo. Erodoto vi nacque il secolo successivo, ad Alicarnasso (Bodrum).

Crociate – È d’uso chiedere ammenda per le Crociate, in termini di eurocentrismo, di imperialismo, di intolleranza, e di semplice spoliazione, ladronesca. Ma furono atti e guerre di difesa. La quale è, se possibile, l’attacco, va combattuta in territorio nemico, e può essere giusta perfino se preventiva. Se c’è una guerra giusta, questa sono le Crociate. La Conquista islamica precede di molto le Crociate. Ed è molto più vasta, continuativa, organizzata.
La storia delle Crociate che regge il giudizio critico è di Steven Runciman, un bizantinista, antilatino (antioccidentale) per principio - più che antislamico. 

Occidente – È in continua penitenza, per le colpe storiche: la “conquista”, dopo la scoperta, dell’America, con lo schiavismo connesso, e il colonialismo dell’Otto-Novecento. Ma l’Occidente è una concezione difensiva: l’Occidente nasce e muove a difesa - e in questo e per questo come cristianità, anche se i costituenti europei grandi massoni, da Giscard a Amato, si sono industriati di sradicarlo. Dal V al XVII secolo, per milletrecento ani, contro i barbari, gli arabi, i turchi, per mare e per terra.
La critica e l’autocritica sono anch’esse un fatto occidentale, e quindi un titolo di nobiltà, d’animo e di storia. Ma nel giudizio critico è necessario includere la storia. 

Po e Reno - Due unificazioni profondamente diverse. Popolare, checché se ne dica, quella italiana, imposta ai Savoia – con la partecipazione, certo, di Cavour. Negli Stati del Centro Italia, compresi quelli del papa, come già tentativamente a Venezia, e al Sud. Come e perché i Borboni si sono trovati soli, anche a fronte del loro stesso esercito, è storia che non è stata scritta. Non nel senso giusto: senza l’insorgenza popolare, quela dei Mille sarebbe stata un’avventura di Garibaldi fra le tante che tentò. La Germania invece corona il disegno bisecolare della Prussia. Plurisecolare, ma definito e perseguito, con la diplomazia e con l’esercito, nel Sette-Ottocento. E si realizza contro i due nemici bisecolari del regno, l’Austria e la Francia.  Questo è agli atti, alle fonti della storia, e anche visibile a occhio nudo: dagli anni 1860 in poi sarà un’altra Germania, sarà la Prussia ingrandita. Non più bonacciona, contenta, beona, poetastra.
Si dice la Germania dall’ubriachezza cattiva. Che si imputa alla birra, ma non può essere, con la birra si fanno anche Dickens e Mark Twain. Arcigna e sospettosa, quale è oggi: non più militarizzata ma egualmente imperialista. Ben due guerre micidiali ha scatenato per affermare il chiodo di grande potenza della Prussia nel mondo, e non è sazia. La Germania si unifica non ilare, né libertaria: ha fatto presto, prestissimo, a dimenticarsi del ruolo di questuante politica che ha avuto fino al 1990, coi russi a Berlino.

Germania e Italia avevano evoluto all’unisono nel primo Ottocento, “liberate” dalla rivoluzione francese e da Napoleone. In questo alveo maturarono il nazionalismo, entrambe come risorgimento di un passato glorioso che avrebbe concimato un futuro altrettanto robusto.
In questo senso Marx e Engels si esprimevano ancora nel 1859, “Po e Reno”. Anche il nemico era lo stesso, l’impero asburgico. A cose fatte Engels plaudì all’unità d’Italia, in sintonia con l’Europa, che il Risorgimento aveva elettrizzata. Con Marx condivise nel saggio però l’apprezzamento per la Realpolitik di Cavour, che dal niente aveva ricavato uno Stato grande e nazionale, più che per i movimenti di popolo che il  Risorgimento avevano propiziato e alimentato. Uno strabismo in chiave germanocentrica, guardando a una Germania unita sotto la Prussia, anche se non ancora sotto Bismarck, e alla Grande Germania, di tutti i tedescofoni.
Engels teorizza nel saggio, col conforto di Marx, che un attacco di Napoleone III sul Reno porterà, con la guerra difensiva in Germania, a una rivolta centroeuropea contro la Russia, alleato della Francia. In “Po e Reno” Engels ipotizza che la Germania, attaccata sul Reno, si allea con l’Austria asburgica contro la Francia e il Piemonte. Marx e Engels sono al fianco dell’Austria nella Seconda guerra d’indipendenza italiana.
Il saggio fu ideato da Engels ai primi di febbraio del 1859, quando era già certa la guerra tra Francia e Austria, e un mese dopo era già scritto. “Eccezionalmente intelligente” lo giudica Marx in una lettera il 10 marzo, e consiglia di pubblicarlo anonimo in Germania per evitare la “congiura del silenzio”. Così avvenne: fu stampato un mese dopo in Germania in mille copie, ed ebbe eco diffusa. In prevalenza favorevole, specie tra i militari. Tutte le recensioni misero in rilievo la giustezza delle considerazioni militari, sul presupposto che l’autore fosse un esperto di cose militari. Con una riserva, da parte dei grandi giornali conservatori, sulla convenienza, che Engels argomentava, di abbandonare i territori italiani. Prima di questa conclusione, anzi in premessa, Engels raccoglie lo slogan diffuso in Germania “il Reno dev’essere difeso sul Po”,, cioè a fianco dell’Austria. E lo giustifica: “Si presentiva in Germania, con intuito corretto, che benché il pretesto di Luigi Napoleone fosse il Po, in ogni caso il suo ultimo obiettivo non poteva essere che il Reno”. Engels argomenterà poi estensivamente che non è necessario “mantenere” i territori italiani, ma sul presupposto che la Germania e l’impero austriaco fossero tutt’uno.

Populismo –Nasce e si alimenta con la sfiducia nei media, secondo uno studio del Pew Research Center, istituto americano di analisi statistiche. Che ha rielaborato indagini demoscopiche svolte in Italia e in altri paesi europei, Danimarca, Francia, Germania, Olanda, Spagna, Svezia e Uk, dove i movimenti populisti hanno fatto valanga. Il populismo si segnala per la “sfiducia nei media” più che per la sovranità o contro, o fra destra e sinistra. È vero però che, per lo stesso istituto, a monte del rifiuto dei media c’è già una concezione sociopolitica populista: “La volontà popolare è la fonte di legittimità del governo”, c’è una élite contro il popolo, il popolo è buono, l’élite corrotta.
La ricerca, insomma, è circolare. Ma è vero che i media hanno un ruolo centrale nello scollamento dell’opinione. Nel rifiuto del’opinione, giacché il populismo è, pur confuso, fondamentalmente questo. 

Rodetta – Nome di un colle o monte svizzero, di cui in un corsivo del “Manifesto” nel 1985, con cui veniva chiamato il conto svizzero del Pci dove confluivano gli sfioramenti” (tangenti) sugli acquisti di gas russo da parte dell’Eni e sulle vendite di tubi per condotte di idrocarburi da parte di Italsider.

Rubare – Si fa – si faceva? – largamente per fini politici. Ma con due opposte motivazioni, o etiche politiche, che il giudice Carlo Nordio, forte della sua esperienza a Venezia e nel Veneto, classifica di due tipi – in un saggio apposto come appendice a Bigazzi-Stepankov, “Il viaggio di Falcone a Mosca”. Il Dc nega ogni appropriazione, “sul tradizionale connubio cattolico-machiavellico che caratterizza la nostra tradizione”. Mentre il Pci, o ex, cogliendo “la vera portata politica del problema”, ha fatto l’opposto coi “propri indagati colti in flagrante delitto”: negare tutto sempre, e se messi davanti alla prova “sostenere di avere rubato per tornaconto proprio”. Sul presupposto - fatto valere vantaggiosamente in Mani Pulite - che è più grave rubare per sé che per il partito. Nordio anticipa nel preambolo del saggio il giudizio: “La ruberia a favore del partito è un doppio misfatto, economico e politico”. Si ruba sulle tasse, sulla ricchezza nazionale. Senza contare il tradimento se si ruba a favore o con la connivenza di una potenza ostile.
  
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