È la traduzione di “Stato e
commercio nella Grecia antica”, 1928, due volume pubblicatia Tubinga, qui
collazionati da Marta Sordi, che li ha tradotti e li inquadra nella
introduzione. Preceduta da una conferenza di due anni prima sul tema che dà il
titolo, che dice il contrario: non c’era pensiero né strategia imperialistica
nell’antichità greca.
L’imperialismo nasce con la
civiltà. In ambito ellenico, quello dei secoli VII e VI, ai quali Hasebroek fa
ascendere i poemi omerici, e di più nella grande fioritura lirica, dominano
ancora i vecchi ideali aristocratici, della forza e della guerra. Non c’è un’economia
mercantile e industriale. Non c’è un’economia. Il lavoro, affidato agli
stranieri, i meteci, è disprezzato. I casi di ricchi che esercitano il commerio
vanno considerati occasionali e eccezionali. Non c’è la democrazia, che in
fondo si accompagna alla mercatura. La democrazia greca, anche a Sparta, è di
tipo oligarchico: I “nuovi”operano per assumere ruoli e mentalità della vecchia
aristocrazia. Non fanno eccezione Creta e Sparta: l’uguaglianza non vi è
politica né economca, ma solo militare, la disciplina di società guerriere.
Hasebroek
argomenta molto questo stato di cose. Con aspetti oggi ritornanti, nell’epoca
della Grande Immigrazione. La libertà personale i greci, omerici e post, non identificano
come noi moderni con la cittadinanza. Non c’era cognizione dei diritti umani,
ed era comune la cittadinanza di seconda classe, dei meteci, apolidi, “simili
agli ebrei nel Medioevo”, liberi di esercitare mestieri redditizi ma confinati
ai margini della polis e a essa estranei.
Hasebroek,
recuperato da Gianfranco Miglio, è stato emarginato dal pensiero antichista per
essersi opposto ai belli-e-buoni dell’epoca d’oro della filologia classica, negli
anni 1920, Beloch, Meyer, Pöhlmann, che l’economia
protoellenica leggevano in chiave marxista, di conquista dei mercati, e insieme
anche al primitivismo cui la prima Grecia acculava Bücher. Ma sulla traccia di
Max Weber, e col conforto successivo di Polanyi. Ha abbandonato l’università
nel 1931, disgustato dall’ascesa del movimento nazista, ed è rimasto trascurato
anche nel dopoguerra - è morto nel 1957.
La
sola forma di capitale era il prestito marittimo. La moneta era a circolazione
locale. Non c’era credito agli scambi con l’esterno. Le città non erano
industriali - artigianali. Erodoto che attesta a Corinto apprezzamento del
lavoro manuale, e Tucidide che attribuisce a Pericle l’affermazione che non è
vergognoso essere poveri, ma lo è l’inoperosità del povero, sono eccezioni che
confermano la regola – i due fatti si segnalano per essere anomali. Solone,
Andocide e il fratello di Saffo sono mercanti, pur non essendo proletari né meteci,
solo per necessità temporanee. Il commercio non era di peso né importante, l’emporìa è recente – Tucidide vi accenna
solo tre volte. Mentre il commercio su larga scala era dei Fenici - che si sa che esistono, l’archeologia lo spiega a
profusione, ma di essi non c’è traccia nella grecità. I rapporti con l’oltremare,
con la Magna Grecia, erano rapporti “interni”, di fratrie e tribà.
Parlare
di imperialismo nell’epoca greca classica è peraltro improprio, avverte
Hasebroek subito, in apertura della conferenza del titolo: “L’idea della
società degli Stati”, “il concetto di una comunità giuridica che unisce fra
loro popoli e Stati”, “il progetto di porre
un freno all’elemento autoritario attraverso l’idea del diritto cha
trovato espressione nel principio del cosiddetto equilibrio”, “questo concetto
dell’equilibrio, che il giovane diritto internazionale fu il primo a enunciare,
prendendo il posto del vecchio ideale religioso della comunità cristiana dei
popoli del Medioevo”, “idee di questo genere sono completamente estranee al
pensiero antico”. Il che è ovvio – ma non, allora, per altre correnti
filologiche. Ma anche l’opposto è ovvio, il che non è altrettanto palese: non
c’erano disegni imperiali, se non l’uso della forza qui e ora, non progettuale,
fine a se stessa. Si passa all’imperialismo col concetto di Stato:
“L’esclusivismo della società dominante”, di nobili guerrieri, “diventa
l’esclusivismo dello Stato in generale”. A partire dalla città-Stato, dalla polis, ma con accorgimenti. “In un momndo
siffatto”, così conclude la conferenza, “che poggia su uno strato di violenza
senza eguali, l’idea di una solidarietà fra Stati non ha propro alcun posto”. E
nememno quella di un disegno espansivo: “Questo complesso di condizioni avrebbe
dovuto mettere in guardia …. dalle
esagerate rappresentazioni di un’economia antica che dovrebbe poggiare su uno
scambio di beni interregionale e internazionale
altamente sviluppato”. Non c’è un progetto espansivo, solo
“esclusivismo” e “rigido isolamento”.
Il commercio è minimo, manca in Omero perfino la parola per dirlo.
Manca la moneta. Lo scambio prevalente è in forma di baratto, cosa contro cosa,
bene contro bene. O in alternativa nella forma del dono. Oppure con la guerra,
come bottino per diritto di conquista: “l’economia omerica è un’economia che
non ha bisogno del commercio”. È una cultura materiale primitiva: non si può
sopravvalutare la capacità economica di una società guerriera, conclude
Hasebroek. Che può avere altri pregi ma non il calcolo: vive di rendite
agricole, con servi o schiavi, ha sole occupazioni la guerra e l’ozio, allora
in forma di agoni, banchetti, canti di poeti, “che fanno parte del proletariato
itinerante”, danze di etere, con buona capacità estetica, un senso eroico della
vita, e una brutalità cieca alla compassione.
Bisogna
arivare a Roma per avere un progetto di “supremazia” e “sfruttamento”. Ma in
forma di liberazione delle energie. Il mondo greco rimarrà invece semrpe vincolato
all’idea di Stato proprietario – patrimoniale, nella terminologia di Max Weber.
Questo anche in epoca ellenistica: “La monarchia ellenistica pone sotto il il
suo controllo tutte le forze libere dela vita economica”, “Essa diventa la creatrice
di una iniziativa imprenditoriale di Stato che si manifesta in prmo luogo nei
monopoli di Stato”. C’è, velata, la polemica contro il sovietismo, erede del
bizantinismo, nel nome della libertà, ma anche una filologia certa.
Hasebroek
rivede di passaggio anche la nozione di democrazia greca, molto resttrittiva.
Una lettura oggi corrente, ma un secolo
fa quasi eretica.
Cosa
ne rimane è sintetizzato da Finley in “L’economia antica”, 1973: l’economia
greca è primitiva, Hasebroek è qui d’accondo con Bücher, ed è impossibile “applicare
al mondo antico un’analisi incentrata sul mercato”, Hasebroek ha ragione, in
linea col suo maestro Max Weber. Anche se, nel “pensiero unico” del secondo
Novecento, era un’eresia, sostenuta solo da Karl Polanyi.
Johannes Hasebroek, Il pensiero imperialistico nell’antichità
Nessun commento:
Posta un commento