martedì 21 agosto 2018

La Magna Grecia non era una colonia


È la traduzione di “Stato e commercio nella Grecia antica”, 1928, due volume pubblicatia Tubinga, qui collazionati da Marta Sordi, che li ha tradotti e li inquadra nella introduzione. Preceduta da una conferenza di due anni prima sul tema che dà il titolo, che dice il contrario: non c’era pensiero né strategia imperialistica nell’antichità greca.
L’imperialismo nasce con la civiltà. In ambito ellenico, quello dei secoli VII e VI, ai quali Hasebroek fa ascendere i poemi omerici, e di più nella grande fioritura lirica, dominano ancora i vecchi ideali aristocratici, della forza e della guerra. Non c’è un’economia mercantile e industriale. Non c’è un’economia. Il lavoro, affidato agli stranieri, i meteci, è disprezzato. I casi di ricchi che esercitano il commerio vanno considerati occasionali e eccezionali. Non c’è la democrazia, che in fondo si accompagna alla mercatura. La democrazia greca, anche a Sparta, è di tipo oligarchico: I “nuovi”operano per assumere ruoli e mentalità della vecchia aristocrazia. Non fanno eccezione Creta e Sparta: l’uguaglianza non vi è politica né economca, ma solo militare, la disciplina di società guerriere.
Hasebroek argomenta molto questo stato di cose. Con aspetti oggi ritornanti, nell’epoca della Grande Immigrazione. La libertà personale i greci, omerici e post, non identificano come noi moderni con la cittadinanza. Non c’era cognizione dei diritti umani, ed era comune la cittadinanza di seconda classe, dei meteci, apolidi, “simili agli ebrei nel Medioevo”, liberi di esercitare mestieri redditizi ma confinati ai margini della polis e a essa estranei.
Hasebroek, recuperato da Gianfranco Miglio, è stato emarginato dal pensiero antichista per essersi opposto ai belli-e-buoni dell’epoca d’oro della filologia classica, negli anni 1920, Beloch, Meyer, Pöhlmann, che l’economia protoellenica leggevano in chiave marxista, di conquista dei mercati, e insieme anche al primitivismo cui la prima Grecia acculava Bücher. Ma sulla traccia di Max Weber, e col conforto successivo di Polanyi. Ha abbandonato l’università nel 1931, disgustato dall’ascesa del movimento nazista, ed è rimasto trascurato anche nel dopoguerra - è morto nel 1957.
La sola forma di capitale era il prestito marittimo. La moneta era a circolazione locale. Non c’era credito agli scambi con l’esterno. Le città non erano industriali - artigianali. Erodoto che attesta a Corinto apprezzamento del lavoro manuale, e Tucidide che attribuisce a Pericle l’affermazione che non è vergognoso essere poveri, ma lo è l’inoperosità del povero, sono eccezioni che confermano la regola – i due fatti si segnalano per essere anomali. Solone, Andocide e il fratello di Saffo sono mercanti, pur non essendo proletari né meteci, solo per necessità temporanee. Il commercio non era di peso né importante, l’emporìa è recente – Tucidide vi accenna solo tre volte. Mentre il commercio su larga scala era dei Fenici - che si sa che esistono, l’archeologia lo spiega a profusione, ma di essi non c’è traccia nella grecità. I rapporti con l’oltremare, con la Magna Grecia, erano rapporti “interni”, di fratrie e tribà.
Parlare di imperialismo nell’epoca greca classica è peraltro improprio, avverte Hasebroek subito, in apertura della conferenza del titolo: “L’idea della società degli Stati”, “il concetto di una comunità giuridica che unisce fra loro popoli e Stati”, “il progetto di porre  un freno all’elemento autoritario attraverso l’idea del diritto cha trovato espressione nel principio del cosiddetto equilibrio”, “questo concetto dell’equilibrio, che il giovane diritto internazionale fu il primo a enunciare, prendendo il posto del vecchio ideale religioso della comunità cristiana dei popoli del Medioevo”, “idee di questo genere sono completamente estranee al pensiero antico”. Il che è ovvio – ma non, allora, per altre correnti filologiche. Ma anche l’opposto è ovvio, il che non è altrettanto palese: non c’erano disegni imperiali, se non l’uso della forza qui e ora, non progettuale, fine a se stessa. Si passa all’imperialismo col concetto di Stato: “L’esclusivismo della società dominante”, di nobili guerrieri, “diventa l’esclusivismo dello Stato in generale”. A partire dalla città-Stato, dalla polis, ma con accorgimenti. “In un momndo siffatto”, così conclude la conferenza, “che poggia su uno strato di violenza senza eguali, l’idea di una solidarietà fra Stati non ha propro alcun posto”. E nememno quella di un disegno espansivo: “Questo complesso di condizioni avrebbe dovuto mettere  in guardia …. dalle esagerate rappresentazioni di un’economia antica che dovrebbe poggiare su uno scambio di beni interregionale e internazionale  altamente sviluppato”. Non c’è un progetto espansivo, solo “esclusivismo” e “rigido  isolamento”.
Il commercio è minimo, manca in Omero perfino la parola per dirlo. Manca la moneta. Lo scambio prevalente è in forma di baratto, cosa contro cosa, bene contro bene. O in alternativa nella forma del dono. Oppure con la guerra, come bottino per diritto di conquista: “l’economia omerica è un’economia che non ha bisogno del commercio”. È una cultura materiale primitiva: non si può sopravvalutare la capacità economica di una società guerriera, conclude Hasebroek. Che può avere altri pregi ma non il calcolo: vive di rendite agricole, con servi o schiavi, ha sole occupazioni la guerra e l’ozio, allora in forma di agoni, banchetti, canti di poeti, “che fanno parte del proletariato itinerante”, danze di etere, con buona capacità estetica, un senso eroico della vita, e una brutalità cieca alla compassione.
Bisogna arivare a Roma per avere un progetto di “supremazia” e “sfruttamento”. Ma in forma di liberazione delle energie. Il mondo greco rimarrà invece semrpe vincolato all’idea di Stato proprietario – patrimoniale, nella terminologia di Max Weber. Questo anche in epoca ellenistica: “La monarchia ellenistica pone sotto il il suo controllo tutte le forze libere dela vita economica”, “Essa diventa la creatrice di una iniziativa imprenditoriale di Stato che si manifesta in prmo luogo nei monopoli di Stato”. C’è, velata, la polemica contro il sovietismo, erede del bizantinismo, nel nome della libertà, ma anche una filologia certa.
Hasebroek rivede di passaggio anche la nozione di democrazia greca, molto resttrittiva. Una lettura  oggi corrente, ma un secolo fa quasi eretica.
Cosa ne rimane è sintetizzato da Finley in “L’economia antica”, 1973: l’economia greca è primitiva, Hasebroek è qui d’accondo con Bücher, ed è impossibile “applicare al mondo antico un’analisi incentrata sul mercato”, Hasebroek ha ragione, in linea col suo maestro Max Weber. Anche se, nel “pensiero unico” del secondo Novecento, era un’eresia, sostenuta solo da Karl Polanyi.
Johannes Hasebroek, Il pensiero imperialistico nell’antichità


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