Il
secondo pezzo è una riflessione sull’io. Accesa dai selfie ciechi delle torme di turisti in piazza san Marco a Venezia.
Che si penserebbe sorniona anch’essa ma è amara. Dello scrittore condannato all’“indiretto
libero”, il discorso o modo di narrazione flaubertiano – ma già di Jane Austen,
assicura McEwan. Al modo narrativo invalso da un secolo e mezzo, dell’autore
onnisciente che si traveste da terza persona, faticosamente. “Nella sua prima maturità
il romanzo inglese si compiacque di apparire «reale»”, nota McEwan, di fare cronaca,
di avere trovato un diario, un epistolario, un documento, eccetera. Ma poi non
prende partito.
Ian McEwan, Il mio romanzo viola profumato,
Einaudi, pp. 55 € 5
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