domenica 19 agosto 2018

L'identità è nelle differenze

Lévy-Strauss, se non Lévi Brulhl, s’incazzerebbe. Non per la cosa in sé quanto per le buone intenzioni politicamemnte corrette di Jullien. Il filosofo, presidente del Collège International de Philosophie, ellenista e sinologo fa una scoperta stupefacente – l’aveva fatta già qualche anno fa, ora la riprende in chiave di attualizzazione politica: che tutte le razze sono in qaulche modo connesse, e così quindi tutte le lingue e le culture. Ma al punto da non tenere in conto le differenze? E come va avanti il mondo, per uniformità e conformità?
Non è la sola domanda. Jullien si propone, per sette capitoli, di “scandagliare metodicamente la nozione di identità culturale, per svelarne le contraddizioni”. A che fine? Non scientifico, se parte da un assioma. Ha più senso allora V.S.Naipaul, il Nobel che viveva tre mondi, l’India, le West Indies e Londra, a dire che l’unica via per salvarsi resta l’Occidente – il Jullien sinologo potrebbe dire lo stesso della Cina?
Non è un pamphlet per tutti, l’impianto è di distinzioni: terminologia, definizioni. Peraltro imprecise – c’è in Francia dilagante un’arte delle distinzioni, postfoucaultiana e postderridiana, che è l’arte della confusione, si distingue fino all’inverosimile. Si parta dal cap. 1, la distinzione tra “universale”, “uniforme” e “comune”. L’“uniforme” non ci piace, comune è “ciò che si condivide”, universale è deviante, assimilando superficialmente il modello dell’esigenza etica con quello della necessità scientifica. E così via. 
Il messaggio però vuole essere chiaro, quello del titolo. Un assurdo. Si prenda l’“universale”, che Jullien si applica a distruggere al cap. 2. È “il prodotto di una storia singolare del pensiero”. E cioè di tre nozioni “occidentali”: il “concetto” della filosofia greca, la “cittadinanza” del diritto romano, la “salvezza” del cristianesimo. Sono nozioni buone, sono cattive? Non importa, sono occidentali e quindi, ora che l’Occidente perde la sua egemonia, perdono il credito accordato all’universalismo che l’Occidente pretendeva d’incarnare.
Insomma, è una questione di potere. Ma c’è una storia non “singolare” del pensiero? E, se di egemonia si tratta, dove l’Occidente la sta perdendo? In Cina, col partito comunista ultrà capitalista?Tra le macerie islamiche? Crederà anche Jullien, che si mostra su Wikipedia sfottente, forse anche lui in corsa all’Eliseo, dopo Macron, che gli Stati Uniti siano finiti, con e senza Trump?
In realtà il filosofo antichista si cautela: contro la “uniformazione” (la globalizzazione, il globish etc.) e contro l’“identitario”, vuole “inaugurare”, basandosi sulla “forza inventiva dello scarto, un comune intensivo”. Tiene conto del reale, e formula una auspicio.
Una buona azione, forse, ma dannosa – ammesso che ancora si legga.
François Jullien, L’identità culturale non esiste, Einaudi, pp. 96 € 12


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