La morte di Alex Coach, bellissimo controverso rockstar, nero ma non fa differenza, scatena a Parigi la caccia alle sue ultime confidenze, registrate e mai pubblicate. Si presuppone per evitare lo scandalo, quale che sia – Alex si è suicidato. Un pretesto come un altro per una galleria saporitissima di personaggi della Parigi da bere, giornaliste, pornostar, trans, donne ricche, in genere in fame di uomini, e anche questo è consolante, e tutti i vecchi, generalmente disadattati, e nuovi amici di Alex. Una galleria di uomini e donne che si scorre d’un fiato – e le trecento fitte pagine sono già doppiate e triplate da due sequel. Seppure tutti nello show business, ai margini, l’aspetto trito e non glamour di esso – Vernon Subutex, negoziante di dischi, cinquantenne fuori mercato per la crisi del prodotto, finisce barbone, scroccone, ladro. Con molti echi, che però non disturbano - Vernon ha un negozio di dischi probabilmente perché Philip K. Dick, espulso dall'università in quanto obiettore alla guerra di Corea, lavorò a lungo in un negozio di dischi, ma non c'è bisogno di saperlo.
Organizzata come una fuga musicale, ma al passo di galoppo, una commedia umana del Millennio – un’analisi che è parte del (mis)fatto. Pruriginosa, ma è la fantasia di oggi – oggi siamo tutti banchieri, quello che ci manca è il sesso. O meglio un romanzo verità. Molto rock, tra reduci e militanti: scattante, rapida, ripetitiva ma variata. Una “commedia” però non alla Zola ma alla Céline – in letteratura sarebbe Céline (era Céline un rocker malgré lui?). La frase breve, a mitraglia. Ma ogni parola sempre necessaria. Il fondo disperante - qui non per la guerra, ma la disintegrazione, nazionale, personale, è disperante lo stesso: si balla, si tira, si scopa sopra il volcano, compulsivamente. La collera rattenuta – compassione. La stessa apocalisse: “È finito, il vecchio mondo”. La mimesi del parlato, immodificabile. In cui tutto è trasfigurato ma è “più” vero. La felicità del linguaggio – non c’è “parlato” più “parlato”.
L’argomento è la protesta socializzata: droghe, alcol, sesso, tatuaggi, disintossicazioni e salario di base, l’ex alternativo è divenuto square. Ma niente lagne. Virtù del linguaggio, filante, calzante, aderente, agile, elaborato e elastico, tagliato su misura, i gerghi e il quotidiano elevando a lingua. Una lingua che sembra eccessiva ma non si fa togliere nulla. Fluente, come una grazia, ma forse anch’essa costruita. Non più attorno agli interessi sordidi ma alla sopravvivenza, non tralasciando nessun piacere, sesso, fumo, coca, alcol, e vivere a sbafo. Si direbbe un Fine Secolo, la decadenza che va con la fine, ma è il nostro modo di essere, in Francia, in Europa, in Occidente.
La “fuga” è aggiornatissima, già nel 2015, quando è stata scritta, c’era tutto l’oggi. Tutti sono connessi, e quindi connettibili, ritrovabili, anche da remoto. Ma sordidamente, gli haters già appestano internet, una macchina da escrementi – ancora negli anni 1980 “il rapporto con i media non era esclusivamente costituito da sfide e ostilità”, e “non si raccontava non importa che, furiosi di essere anonimi, condannati a sparare la cazzata più lapidaria possibile, acculati al silenzio assordante della propria impotenza”. I miliardi si fanno in un clic, un secondo e mezzo. O si perdono: “è l’infra-instabilità”. C’è già “la bellezza youtubica”, con le influencer di ogni nuovissima tendenza, che anzi creano. E chi si crea in rete cinquanta false identità, per venderle al miglior offerente, troll e no, è semplice, ce n’è domanda: “Lanciare un linciaggio mediatico è più facile che far decollare un virale positivo”, spiega la navigatrice, “La Iena”, si suoi danti causa, “il disprezzo si trasmette facile come la rogna”, e “l’epoca plebiscita la brutalità”. E in genere la “infobesità”. Con l’attrice porno, ex, che deve scrivere un libro – “tutte le star dell’X che contano hanno scritto almeno un libro”.
Despentes si è situata nel mercato pornosoft, necessariamente leggero, ed è un peccato.
Virginie Despentes, Vernon Subutex, Bompiani, pp. 304 € 18
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