L’infanzia dello Scrittore.
Che a nove anni viene confidato alla “istituzione militare” algerina, nella
quale passerà 36 anni, fino al grado di colonnello: Mohammed Moulessehoul.
“Yasmina Khadra” sono i due prenomi della moglie, uno pseudonimo adottato
perché i suoi primi romanzi, i gialli nell’Algeria della guerra civile anni
1980 per cui è famoso, li ha pubblicati mentre era nell’esercito.
Un selfie vecchio stile, senza le solite trasgressioni che fanno audience. Ma con un flair locale, nazionale, ancora denso, di Orano, Tlemcen, Algeri,
benché lo scrittore viva in Francia ormai da trent’anni e si consideri
scrittore francese. Di una scrittura piana, quasi un omaggio alla insegnante di
francese, una gentile signorina polacca, Lucette Jarosz, che muore
all’improvviso alla vigilia del matrimonio: è lei che nell’ultimo capitolo gli
impone una scrittura di cose, non forzata, dicendosi tradita dal suo uso
sconsiderato del vocabolario, per fare “lo scrittore che sorprende il lettore”.
Allo stesso modo, senza
sorprese né eventi eccezionali, viene narrata l’infanzia mesta in collegio,
seppure con gli inevitabili personaggi bizzarri. La disciplina. La vita
collettiva obbligata, senza spazio né tempo per sé mai. L’istruttore sadico. Il
presidente Bumedien che in incognito si complimenta col ragazzo – ma sono “gli
anni grigi della dittatura tranquilla”, in “un’epoca in cui la delazione e la
spionite trionfavano”. Allo stesso modo, i cadetti militari sono ricordati
“grandi lettori”, e le forze armate estremamente permissive, soggiogate dalla
cultura. Che però non risparmiano al cadetto poeta-drammaturgo-narratore umiliazioni, procedimenti, condanne, pene di
ogni genere. In un paese che ha perseguitato i suoi poeti e artisti, anche rivoluzionari:
Kateb Yacine, Mufti Zakaria, “l’aedo della rivoluzione”, Mouloud Mammeri.
Il tutto è aperto da una
professione inconsueta di amore paterno, del riconoscimento del padre,
dell’amore del padre. Che poi sapremo, per tutta la narrazione, averlo abbandonato,
dimenticato, in convitto, in lite continua con la madre, con amori e famiglie
nuove a ripetizione. Il futuro Yasmina Khadra e i suoi sei fratelli e sorelle lasciando
in cura alla madre. A sua volta abbandonata, senza alcuna risorsa, da tugurio
in tugurio per non aver pagato l’affitto, fino a finire in campagna. Poveretto. Giovane prima della guerra d’indipendenza, corteggiava ricambiato una signorina
francese, Denise Ernest, quando una mattina era stato chiamato in fretta a casa
dal lavoro perché doveva sposarsi, con una giovane che vedrà per la prima volta
la notte delle nozze –lei pensava che lui avesse la scabbia, lui che lei fosse
una nana. Ma, poi, il padre è un ufficiale dell’esercito, sebbene di basso rango,
autoritario e assente. La funzione di padre presente e amichevole sarà svolta
dallo zio, fratello anziano del padre, di nessuna risorsa – che anch’egli
assolve il fratello padre. Niente condanna il padre, non la cacciata di casa di madre e figli una mattina, senza preavviso e senza meta, da una pattuglia militare della sua caserma. Neanche la scena finale in
cui costringe il giovane letterato a iscriversi all’Accademia militare, e “diventare
colonnello, chissà, ministro della Difesa”, per il solo beneficio, spiega, del suo orgoglio.
Un’infanzia e una adolescenza
tristi, per ogni aspetto. Che però richiama Simone de Beauvoir, “Per una morale
dell’ambiguità”, dove trova in Algeria, nei bambini, “l’affermazione evidente
della trascendenza umana”, la “speranza”, il “progetto”. Nell’Algeria ancora
oppressa dal colonialismo, rassegnata: “In seno a questa rassegnazione sordida
vi erano fanciulli che giocavano e sorridevano; e il loro sorriso denunciava la
menzogna degli oppressori: era invocazione e promessa, proiettava di fronte al
fanciullo un avvenire, un avvenire d’uomo…. È uno sguardo in agguato, una mano
avida che si protende verso il mondo,è speranza, progetto”.
Yasmina Khadra non arriva a
tanto. Ma lo stesso dà un modo di essere comune essendo diversi, prima del “noi
e loro” che sembra imperversare – che forse meriterebbe un romanzo di “Yasmina
Khadra”. “Un’infanzia algerina” è il sottotitolo, e bisogna che sia detto per
sancire la differenza, a parte i nomi e i toponimi. Nulla che una narrazione
europea troverebbe impraticabile – semmai troppo scontato.
O allora onesta, nella
differenza. Di donne non rassegnate, ma non protette. Dell’amato padre
sottolineando violenze di ogni tipo.
Yasmina Khadra, L’Écrivain, Pocket, pp. 286 € 7
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