La promozione - forse
l’editore, forse lo stesso De Stefano – vuole i ventitré espressione di una
grande forza e capacità creativa, che in altro ambiente sarebbe stata
indirizzata costruttivamente con buoni esiti. Questo è difficile da credere. È
l’ambiente che crea il delinquente, non il delinquente che ammorba l’ambiente?
Il problema non è dell’uovo e della gallina, è della legge, e della pacifica
convivenza cui tutti hanno diritto, che i malavitosi impediscono ai più deboli
o meno capaci.
Questo non si dice ma è evidente. Quando i Cutolo e i Riina
attaccano il potere, beccano sempre, il potere sa essere inflessibile. È
diverso quando si accontentano di tenere sotto scacco gli onesti lavoratori e i
non violenti. La malavita è anzitutto un problema di giustizia, sociale.
Ma senza questa premessa, le
storie fluiscono godibili. Per tutte le quasi seicento fittissime pagine del
volume, benché questi “atti dei delinquenti” siano per lo più noti, avendo fatto
la cronaca. Il genere è avventuroso, e anche in molti aspetti infame, come è
della stampa scandalistica: per vendere si scrivono e si rappresentano, si magnificano
di fatto, si eroicizzano, persone e comportamenti ignobili. E il genere purtroppo
è dilagante, segno che se ne è creata la domanda, a partire dagli sceneggiati Rai e dai
personaggi creati da Enzo Biagi. Negli stilemi dell’apologia, non ce ne sono
altri. De Stefano ha una sua misura, tra la repellenza e l’apologia, probabilmente perché sa raccontare.
Ventitré dunque i boss repertoriati,
con vita, misfatti e miracoli. De Stefano ha già scritto molto della camorra,
nella sua città, e molti materiali recupera in questo volume enciclopedico. Qui
ci porta con successo anche fuori Napoli, con Riina, Spatuzza, Siino, Michele
Greco, Provenzano, Brusca, Messina Denaro.
Bruno De Stefano, I boss
che hanno cambiato la storia della malavita, Newton Compton, p. 570, ril. €
9,90
Nessun commento:
Posta un commento