venerdì 10 agosto 2018

Vite e atti degli uomini infami

Raccontare ventitré vite criminali, quanti sono questi boss “rivoluzionari”, non depone bene – Foucault ci tentò con una, una sola, non fu granché e non andò oltre : “Le vite degli uomini infami”, la serie da lui ideate nel 1977 sui “Cahiers du cinema” e subito promossa da Gallimard in una collana, “Le vite parallele”, da lui stesso diretta, cominciò e fini nel 1978 con “Herculine Barbin, dite Alexina B.”. L’infamia si racconta male. Busca o Spatuzza, per dire i minori di questa serie di De Stefano, non sono meno indigeribili di Herculine Barbin. Ma De Stefano ci riesce.
La promozione  - forse l’editore, forse lo stesso De Stefano – vuole i ventitré espressione di una grande forza e capacità creativa, che in altro ambiente sarebbe stata indirizzata costruttivamente con buoni esiti. Questo è difficile da credere. È l’ambiente che crea il delinquente, non il delinquente che ammorba l’ambiente? Il problema non è dell’uovo e della gallina, è della legge, e della pacifica convivenza cui tutti hanno diritto, che i malavitosi impediscono ai più deboli o meno capaci.
Questo non si dice ma è evidente. Quando i Cutolo e i Riina attaccano il potere, beccano sempre, il potere sa essere inflessibile. È diverso quando si accontentano di tenere sotto scacco gli onesti lavoratori e i non violenti. La malavita è anzitutto un problema di giustizia, sociale.
Ma senza questa premessa, le storie fluiscono godibili. Per tutte le quasi seicento fittissime pagine del volume, benché questi “atti dei delinquenti” siano per lo più noti, avendo fatto la cronaca. Il genere è avventuroso, e anche in molti aspetti infame, come è della stampa scandalistica: per vendere si scrivono e si rappresentano, si magnificano di fatto, si eroicizzano, persone e comportamenti ignobili. E il genere purtroppo è dilagante, segno che se ne è creata la domanda, a partire dagli sceneggiati Rai e dai personaggi creati da Enzo Biagi. Negli stilemi dell’apologia, non ce ne sono altri. De Stefano ha una sua misura, tra la repellenza e l’apologia, probabilmente perché sa raccontare.
Ventitré dunque i boss repertoriati, con vita, misfatti e miracoli. De Stefano ha già scritto molto della camorra, nella sua città, e molti materiali recupera in questo volume enciclopedico. Qui ci porta con successo anche fuori Napoli, con Riina, Spatuzza, Siino, Michele Greco, Provenzano, Brusca, Messina Denaro.
Bruno De Stefano,  I boss che hanno cambiato la storia della malavita, Newton Compton, p. 570, ril. € 9,90

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