lunedì 3 settembre 2018

A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (374)

Giuseppe Leuzzi


“Sicilia, terra di librai”. Una catena di libreri, Ubik, si fa pubblicità con questo slogan. Le parole non mancano al Sud – terra anche di lettori?

L’antimafia dilaga, non  senza ragione, secondo Ulderico Nisticò, “Controstoria delle Calabrie”, 146, a proposito “dei progetti scolastici, convegni segue cena, libri e relative carriere, film premiati e non visti, eccetera”: “È lecito sospettare che i suddetti professionisti non vorrebbero, magari inconsciamente, che sparisse la mafia”. Allo stesso modo dei medici, è vero, che, magari “inconsciamente”, anche loro, “non sarebbero contenti se tutti fossero sani”. 

La festa delle forze dell’ordine, con processione
Festa ieri a Polsi, il luogo di culto con più continuità in Europa, per la Madonna della Montagna. Alla presenza di carabinieri, poliziotti e guardie di finanza probabilmente più numerosi dei fedeli. Sicuramente più ingombranti, tra armi e videocamere. Da un paio di decenni si vuole che questo sia il luogo dei vertici di mafia. Come se i mafiosi calabresi, gli ‘ndranghetisti, fossero scemi.
Tre forze di polizia a Polsi camuffate da cineoperatori: sembra la satira di un ciak cinematografico. La cosa è a suo modo consolante: significa che non hanno altro di cui occuparsi, un delitto qualsiasi.
In occasione della festa di Polsi, ha tuonato il vescovo di Gerace, che se ne tiene lontano, contro le mafie che profanano il santuario. Ce l’aveva con le forze dell’ordine?

A Gallicianò invece i Carabinieri e la Polizia assicurano il corretto uso dei luoghi di culto: hanno militarizzato la celebrazione annuale il 29 agosto di san Giovanni Battista che per la gioia “danza” tra i fedeli. Numerosi, presenti in ogni angolo della “processione”, anche qui con videocamere. Le Autorità Militari avevano chiesto al parroco le generalità dei portatori dell’altarino del santo. Ma non si fidavano.

Gallicianò è un borgo di 60 abitanti, “l’Acropoli della Magna Grecia”, frazione aspromontana del Comune di Condofuri, che in tutto ne ha cinquemila, di cui forse la metà effettivi, ritornata vent’anni fa al rito greco ortodosso, con la riapertura dopo secoli di una piccola comunità di monaci greco-ortodossi, non ha bande mafiose né mafiosi spiccioli. 

Calabria
Nota Ulderico Nisticò, “Controstoria delle Calabrie”, p. 20: “Pensate quanti film americani d’avventura e gloriosa conclusione a suon di musica se la battaglia di Lepanto l’avessero combattuta e vinta gli Inglesi invece che, come fu, i Veneziani, gli Spagnoli Napoletani, e molti Calabresi”. Vero – una battaglia vinta “contro un calabrese, del resto, Ulugh Alì delle Castella”.

Si fotografano a Gioia Tauro i pacchi dono della Caritas intonsi nella spazzatura, di pasta e altri generi commestibili. Forse destinati ai rom, ma non importa: troppe bugie. Chiacchiere, ritualità, sulla fame, la povertà, il bisogno. È il problema del volontariato, o terzo settore: troppo superficiale. Ma qui, nel “profondo Sud”, profondo nel senso di indigente, fa più senso.

Crolla il viadotto a Genova e la “Gazzetta del Sud-Calabria” fa una pagina allarmata: “Cosche a appalti, così crollano ponti e strade”. Ma il viadotto non è crollato a Genova?

Il film “Ragazzo di Calabria” è modellato su Francesco Panetta, campione del mondo dei 3000 siepi, 1987. Di famiglia borghese, di commercianti, Ma spacciato nel film per pastore analfabeta e scalzo, naturalmente figlio di “padre padrone”, che lo bastona. Non c’è altro calabrese?

Graecia Major”, la Magna Grecia, nella cartografia di Ortalis, Anversa, 1593, in proiezione rovesciata (il Sud è a Nord) limita a Salento e Calabria.

I vigili multano a Pizzo gli sposini per divieto di sosta della macchina con autista davanti a una chiesa romitaggio per le fotografie. Con comandante dei vigili in testa. Il Comune dovrà aprire un apposito capitolo di entrate, le multe non s’erano mai viste.
L’auto, dice il “Quotidiano di Calabria”, era parcheggiata nell’area riservata ai Noc, noleggio con conducente, come quello degli sposini. Ma quando ci vuole ci vuole.

Terra per eccellenza di emigrati, da fine Ottocento, era stata fino ad allora terra di immigrazione, nota Ulderico Nisticò, “Controstoria delle Calabrie”.
Era anche, fino all’unità, “regione ad alta intensità industriale”. La cosa non piace a “La Lettura”, il settimanale del “Corriere della sera”, che dedica un lungo servizio a smontare la ferriera di Mongiana, spiegando che, subito dopo l’unità, non era più concorrenziale con l’Inghilterra – con l’Inghilterra?

Aveva San Sosti una zona di mare protetta dai pozzi neri: acqua cristallina. Poi il Comune fece giustamente le fognature, e da allora l’acqua di mare qua e là, a giorni alterni, è infetta. È il caso di quasi tutte le spiagge in Calabria.

Ha come poema di fondazione una “Chanson d’Aspremont” del ciclo carolingio. Fatta scrivere in fretta dai Normanni di Mileto per una crociata in partenza da Messina nel 1190. Poi volgarizzata, due secoli più tardi, in Toscana, da Andrea da Barberino, in ottave (che l’Ariosto sicuramente conobbe, poiché l’ “Orlando Furioso” prende avvio proprio dall’“Aspromonte”, dalle armi che Orlando strappa ad Almonte, il capo saraceno, ma questo qui non interessa) ): un poema cavalleresco del ciclo carolingio. La storia d’amore di Orlando con una Gallicella, che si salvano in montagna alla caduta di Risa (Reggio), nella campagna dei Saraceni contro il Sud Italia – il regno cui miravano i Normanni, a mano a mano che spodestavano i Longobardi, di Salerno e Benevento.

In Calabria non si parla che di Calabria. Anche tra viaggiatori, politici romani, “milanesi”, “piemontesi”. Faticoso. Ma compatibile: è una patologia. Come di chi parla sempre delle (sue) malattie.

Il tempo senza tempo.
Ulderico Nisticò, “Controstoria delle Calabrie”, ha il “tempo senza tempo”. Proprio del dialetto calabrese – dei dialetti calabresi, diversificati nella pronuncia e anche nel lessico, ma uniti in questa forma verbale-mentale. E anche della Sicilia, va aggiunto. È l’aoristo greco. Che è “una concezione del mondo senza inizio né fine, sempre uguale”.
Con una controindicazione. Il tempo futuro, scrive Nisticò, che i calabresi scoprono a scuola (ma anche i siciliani), li affascina – “è accaduto loro come ai maschi gatti di casa: quando sentono odore di gatte, non tornano più”. E quindi tutti a giurare sul futuro e un vasto promettere, tanto domani è un altro giorno. È qui “la radice inconscia del peggior vizio mentale calabrese: l’idea che se uno dice una cosa, quella cosa medesima è già bell’e fatta”. I calabresi (e i siciliani) “parlano con il tempo futuro ma pensano sempre con l’aoristo. Il risultato perverso è che, secondo loro, il futuro diventa presente”. 

leuzzi@antiit.eu

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