La politica per le aziende,
per salvare le aziende, per proteggere le aziende, per favorire le aziende, è
tutto il succo. Non abbiamo avuto Berlusconi per un quarto di secolo che per
beneficare le sue aziende – che peraltro sono molto meglio gestite della Rai. Non
manca il Cavaliere Nero, con altri epiteti. E la polemica si ripete contro chi
ha sostenuto quello che tutti vedono, che l’anticomunismo è stato negli anni
1980-1990 più attivo, reattivo, dell’antifascismo, se non altro per essere
contemporaneo. Certo, non c’è paragone tra il fascismo, che in Italia c’è
stato, e il comunismo, che non c’è stato, ma poi Gibelli non si risparmia la
polemica contro De Felice che lo disse, da comunista a ex comunista…
La storia si vuole della “discesa
in campo” di Berlusconi. In videocassetta, fatta pervenire ai tg del 26 gennaio
1994 dalle 17.30 alle 24. Nove minuti e mezzo di proclama, a beneficio di una audience che alla fine della giornata
sarà calcolata in 26 milioni – ma i più non l’avranno sentito due e tre vte?
Una decisione, l’entrata in politica, presa in poco ore, pochi giorni, per
salvare l’impresa d famiglia, l’unico fine delle azioni di Berlusconi. Non
importa che l’uomo abbia “fatto” la politica così a lungo. Anche aprendo la
strada a Grillo, a Renzi e a Salvini. I suoi programmi sono confusi, gli interessi
sempre personali, familiari, patrimoniali. Contro lo Stato e le sue istituzioni.
Per primi l’ordinamento e l’ordine giudiziario, le leggi e i giudici. Con la tv
evasione o spazzatura, e l’onnipresenza in tv per castrare l’opinione, tutta di
poveri imbecilli. Per una democrazia da audience
tv.
Se non che Renzi viene da
lontano, molto dc vecchia maniera – è la copia esatta di Fanfani. E Salvini di
oggi è perfino moderato rispetto al Bossi di Berlusconi, del 1994. Quello che
ce l’aveva duro, girava in canottiera, voleva Milano legata al marco, e
l’Italia in tre tronconi, e animava milizie. Che Berlusconi ha addomesticato.
Mentre non si valuta bene il marketing politico. Che è lecito, e che Berlusconi
non ha inventato, semmai adottato. Spendendoci peraltro poco, l’uomo è
sparagnino - nulla al confronto delle spese faraoniche di una campagna presidenziale
Americana, lunga un anno e mezzo, o anche solo parlamentare, per solo sei mesi.
Con i sondaggi, i campioni, e la tipologia delle candidature e dei messaggi.
Con l’ausilio di consulenti specializzati, sociologi, politologi.
Gibelli, storico emerito all’università
di Genova del movimento operaio e della Resistenza, si diletta in divagazioni. “26 Gennaio 1994” ha scritto per
una collana “10 giorni che hanno fatto l’Italia”, e non si cimenta, benché
contemporaneista, oltre i cliché.
L’azienda da salvare – da chi? Il partito di plastica televisivo. La demagogia
(oggi populismo) nascente, tra il picconatore Cossiga, il referendario Segni, il “barbaro” Bossi.
Resta da spiegare uno che in
tv, specie nelle sue, non “buca lo schermo” - il “contratto con gli italiani”
da Vespa e la sedia di Travaglio ripulita da Santoro si ricordano perché sono performances eccezionali nel suo presenzialismo, altrimenti
bolso e dannoso. Uno che ha vinto da solo tre elezioni. Quattro con quella che
ha perso nel 1996, per avere fallito proprio nella sua specialità, le candidature
uninominali, avendo raccolto un milione di voti più di Prodi. Che ha addomesticato,
oltre al barbaro Bossi, il fascismo degli ex Msi. Che ha portato al voto i
residuati democristiani, socialisti e
laici – one man’sband, o non
pluralismo? E non ha favorito i grandi interessi – i “monopoli” – come invece la
coalizione avversaria: i grandi immobiliaristi, la grande distribuzione, le privatizzazioni
di favore, senza impegni d’investimento, e senza controlli a valle.
Avendo a suo tempo sollevato
il conflitto d’interessi di Berlusconi, sul settimanale “Il mondo”, in quattordici diversi settori economici, bisogna
anche testimoniare che in nessuno di essi si sono segnalati abusi. I processi,
certo. Ma voleva al governo ministro della Giustizia proprio il giudice che lo
voleva “sfasciare”, Antonio Di Pietro. L’antigiustizialismo di Berlusconi è
successivo, a seguito delle migliaia di perquisizioni, indagini, accuse, email,
convegni, articoli. Condannato per evasione fiscal sui diritti tv comprati all’estero,
ma tutti sanno che la sovrafatturazione era normale, la sua azienda ne fece
poco uso, rispetto alla Rai e a Rcs Video – “Mediobanca Editore”, tuttora in
edizione, lo documentava vent’anni fa. Ma, più di tutto, Berlusconi non si
spiega senza il Pci, quello che ne restava era evidentemente sempre troppo –
Gibelli si rassegni, De Felice era miglior storico.
Con una curiosità. Per molti
anni erano impilati in evidenza in libreria cinquanta e anche cento libri
contro Berlusconi. Oggi c’è solo Gibelli, e in poche copie. Si vede che Berlsuconi
non “tira” più, non vende: i compagni si saranno stancati. Forse dicendo loro
delle storie vere ritornerebbero alla lettura, anche di Berlusconi, e al voto.
Antonio Gibelli, 26 gennaio 1994, Laterza, pp. 272 € 18
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