Draghi, in uscita dalla Bce, è
candidato da Lor Signori, come si chiamavano nelle prime repubbliche, a guidare
l’Italia, e quindi fa l’anti-governo. Non potrebbe, ma pazienza, è il male
minore fra i suoi tanti. Draghi è quello che ha affossato l’Italia nel 2011,
sottoscrivendo la lettera minatoria del suo predecessore Trichet al governo
Berlusconi-Tremonti, e rendendola pubblica, attraverso indiscrezioni mirate. Ed
è lo stesso che, purtroppo patrocinato dal presidente Ciampi, ha condotto
l’Italia alla rovinosa partecipazione a un euro inteso come supermarco. Con un
cambio lira-euro penalizzante, e anzi assassino. Senza avere prima consolidato
il debito. Forte di coefficienti euro rigidi, il 60 per cento del pil eccetera.
Draghi è ora famoso, e benemerito,
perché, quando l’America spingeva per fargli scoppiare l’euro in mano, ha
disposto l’estrema difesa. Che era poi nient’altro che il “quantitative easing”
disposto dalla Federal Reserve e dalla Bank of England cinque anni prima, con
la tempestività necessaria che l’ortodossia tedesca ha impedito in Europa.
Ha del resto salvato i debiti (l’euro)
dopo aver salvato le banche tedesche con la “grande Bertha”, come la dissero
grati i consiglieri economici della cancelliera Merkel, una cannonata: un gigantesco prestito a tre anni a
bassissimo costo a tutte le banche, ma mirato ad avvantaggiare le banche
tedesche, olandesi, belghe e austriache. È la prima cosa che Draghi ha fatto
subito dopo il suo insediamento l’1 novembre 2011, quando il debito italiano era a quota 500, o 600. Fu solo un anno dopo che
intervenne con altrettanta determinazione a salvare l’euro. Creando, e
annunciandolo irrevocabile, lo strumento nuovo delle Omt, Outright Monetary
Transactions, operazioni monetarie di acquisto senza limiti di titoli di Stato
di paesi membri in caso di attacco contro gli stessi, quindi contro l’euro. Lo fece quando la minaccia ai Btp si era dissolta. Ma lo fece bene: senza formalità, sul mercato secondario come un qualsiasi operatore, con la
stessa prontezza.
L’uomo
cioè i mezzi ce li ha, non è uno sprovveduto. Non è innocente. E non parla a vanvera. È anche
l’uomo di Goldman Sachs. E del “Britannia”, il panfilo della regina Elisabetta
sul quale fu decisa venticinque anni fa la privatizzazione dell’ingente
patrimonio statale italiano. .
È l’uomo del famoso “vincolo esterno”, di un’Italia da tenere al guinzaglio –
di chi?
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