È Eufemio, un colonnello
bizantino poco capace e per questo spodestato del comando, che pressa l’emirato
di Keiruan in Tunisia a occupare la Sicilia. E l’isola sarà presto occupata.
Per la Calabria è diverso. Non ci sono invasioni ma scorrerie. Alcune a scopo
di occupazione. Ma allora di aree ridotte, occupazioni isolate. Di Amantea per
quarant’anni – e poi per settanta. Ancora meno Santa Severina, sullo Jonio.
Ancora meno Tropea, anch’essa a due riprese, che però non interessava molto. E
Cosenza, città longobarda, per diciott’anni, con Reggio, città invece ambita,
capitale bizantina del Sud, per qualche anno a partire dal 952.
Ma le tracce resteranno a
lungo: a Amantea e a Santa Severina si scrive in arabo ancora nel secolo XII.
Una costante di questa continua bascula bizantini-arabi nei secoli IX e X
essendo la dispersione dei vinti nel contado, non la loro eliminazione. Per di
più la Calabria, terra allora d’immigrazione, poiché era facile nascondervisi,
essendo sparsamente popolata, accoglierà molti mussulmani in rotta dalla
Sicilia, per le continue guerre intestine, e poi cacciati dai Normanni. Una
sorta di occupazione al rovescio.
Le tracce restano così
numerose. Nel vocabolario, soprattutto nell’onomastica e nella toponomastica.
Lojacono non fa una vera storia degli arabi in Calabria – forse le fonti fanno
difetto, locali o arabe. Racconta la storia come è stata raccontata da Michele
Amari un secolo e mezzo fa, e circostanziata nel volume “Gli Arabi in Italia”,
di Gabrieli e Scerrato quarant’anni fa. Con la consueta, non critica,
rivalutazione del mondo arabo – in voga in Occidente più che nella storiografia
araba. Specie sul lato tolleranza, il fondamento della democrazia. Una credenza introdotta da Amari, ripresa
da Cardini, Feniello, e la storiografia ebraica. Per la realtà basta chiedere
ai greci, o anche ai tanti slavi, e perfino agli albanesi, oltre che agli
armeni. Anche se sotto i turchi e non gli arabi, ma il regime islamico era lo
stesso. O ai cristiani oggi in Pakistan o ai bahai nel khomeinismo.
La ricostruzione è per questo
confusa: “Il successo militare del Jihad
al Asgar (il “piccolo Jihad”, la piccola guerra santa, n.d.r.) … non si
spiegherebbe se non con la partecipazione attiva a questo movimento
espansionistico di una buona parte delle popolazioni soggiogate”. Felici quindi
di essere soggiogate? Sì, per “la forza propulsiva del messaggio coranico”. Poi,
due pagine più in là, si dice che “si fugge verso l’interno sperando di trovare
salvezza”, le popolazioni invase fuggono. E subito dopo si dà conto di
“repressioni spietate, squartamenti, decapitazioni e massacri di ogni tipo”.
Lojacono ha però qualcosa di
più. Il saggio-sunto arricchisce con numerosi repertori, che fanno il pregio di
questa “Storia”: compilazioni a prima vista attendibili, di golosa lettura.
Della terminologia araba, quella ufficiale, ancora in uso nel dialetto. Dei
nomi. Dei toponimi. Del vocabolario, con sottosezioni per gli animali, la
gastronomia, le professioni, i verbi, la botanica, gli oggetti d’uso,
l’agricoltura, le misure. E qua e là con brevi biografie di santi important poi
dimenticati, Nilo, Elia da Enna, Elia da Melicuccà, Simone di Calabria, Luca di
Melicuccà. Con un’appendice sui residui materiali: coppe, monete, armi,
eccetera. Come dire che gli arabi in Calabria non ci sono stati, ma ci sono.
Antonio Maurizio Lojacono, Storia degli Arabi in Calabria, Città
del Sole, pp. 29 € 13
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