Algoritmo – Viene da
– è deformazione di – Al Kwarizmi, come è noto, illustre matematico persiano del secolo
Nono, il cui trattato in arabo, scritto verso l’825, introduce i numeri arabi,
e lo zero, fino ad allora non concepito. Ma non per caso: Al Kwarizmi aveva
curato la traduzione in arabo delle opere matematiche dell’epoca
greco-ellenistica, nonché del’antica Persia, di Babilonia, dell’India. Un
cratere lunare ha il suo nome. Gerolamo Cardano, “Ars Magna”, lo dirà il
creatore dell’algebra – anche “algebra” deriva dall’arabo e significherebbe
“completare” o “ripristinare”, che è una delle due operazioni descritte da Al
Kwarizmi nel libro per risolvere le equazioni di secondo grado.
“Algoritmi
de numero Indorum” è titolo della tarda traduzione latina, di Gerardo di
Cremona, seconda metà del secolo XII. In precedenza Roberto di Chester ne aveva
freso una sin tesi in altino, pubblicandola a Segovia nel 1145, “Liber algebrae
et almucabala”. Il titolo originale, “Al Kirab al-Mukhtasar fi Hisab al-Jabr
wa’l-Muqabalah”, contiene la parola algebra, che entrerà nell’uso comune, pur
avendo in arabo il significato specifico di “riduzione” o “completamento”,
intendendo la trasposizione dei termini sottratti da un membro all’altro
dell’equazione. L’“al muqabalah”, che ha senso simile, di “riduzione” o
“equilibrio”, di cancellazione dei termini simili che compaiano in entrambi gli elementi di un’operazione, è caduta in disuso.
Misogallismo – C’è una curiosa tradizione italiana anti-francese. Che risale ai
primordi dell’Italia, del vagheggiamento di un’Italia unita. C’è in Dante, che
pure stava per scrivere nella lingua dei trovatori, come il suo maestro
Brunetto Latini. C’è forte in Petrarca, che pure fu, a suo agio e innamorato,
in Avignone e in Provenza. C’è nella pubblicistica narrativa e storica del
Quattro-Cinquecento, qui già con qualche motivo: la politica, le guerre, le
invasioni. Specie di Machiavelli, che fu
ambasciatore inascoltato in Francia, e Guicciardini. E poi, in reazione all’antitalianismo, nella Francia di
Caterina dei Medici, che pure salvò la dinastia francese e probabilmente la
stessa Francia. Molto misogallismo alimenterà la rivoluzione del 1789, e non
fra i reazionari – a parte il giovanissimo Leopardi dell’Orazione agli
Italiani”, 1815, contro Murat e per il papa, sotto l’influenza del padre conte
Monaldo. Dubiterà della rivoluzione, degli effetti della rivoluzione, lo sesso
francofilissimo Manzoni. Il culmine si era raggiunto col “Misogallo” di Alfieri,
in piena rivoluzione dell’Ottantanove.
“L’antifrancesismo è tema ricorrente
nei rapporti culturali fra Italia e Francia, come lo è il suo corrispondente
speculare, l’antiitalianismo. Già in Dante, autore per certo impregnato di
cultura francese, la polemica contro la monarchia francese – d’ordine
eminentemente politico, dato lo stretto legame tra la Francia, gli angioini
d’Italia e la parte guelfa avversa a Dante – è talmente forte da suscitare
ripulse e moti di antiitalianismo oltralpe, soprattutto a causa di un
immaginario ingiurioso creato (o diffuso) da Dante, come quello fondato sulla
leggenda di Ugo Capeto, figlio di un beccaio di Parigi” – Saverio Ieva, nello studio
dell’“Orazione agl’Italiani” di Leopardi.
Più forte è lo
scontro sul piano culturale, e sempre reciprocato. Con Petrarca, sempre Ieva, “nasce e si sviluppa una querelle sul
primato culturale delle due nazioni che informerà i dibattiti letterari fra
Italia e Francia fino al Cinquecento, e porrà le basi per ulteriori dispute
circa una lettura (e valutazione) parallela delle due letterature, che ancora
all’inizio dell’Ottocento fornirà argomento di discussioni”.
Si parte da lontano: “In una lettera del 1368 a Urbano V, per esaltare il
primato della cultura letteraria italiana, Petrarca aveva affermato
« oratores et poetae extra Italiam non quaerantur»”.Non si riferiva alla Francia.
Ma “questa frase suscitò in Francia forti polemiche: tra il 1369 e il 1370 Jean
de Hesdin componeva e diffondeva un’apologia antipetrarchesca, «Contra Franciscum Petrarcam
epistola»”. Petrarca ne aveva notizia a gennaio, e l’1 marzo datava da
Padova una risposta sui toni dell’invettiva, “Invectiva contra eum qui maledixit Italiae”.
La disputa continua per tutto il Trecento, e sarà ripresa all’inizio del
Cinquecento. Ma già, con la discesa di Carlo VIII, era stata superata in
asprezza dalla querelle politica.
Usa far credito alla Francia
di Napoleone III dell’unità d’Italia. Ma anche questo è dubbio. Macron e
Sarkozy in Libia non sono una novità: niente viene di buono all’Italia dalla
Francia. Ma forse anche agli altri europei, inglesi, tedeschi, spagnoli, olandesi,
possono porsi la domanda. La Francia è stata solamente buona con gli Stati
Uniti – con i quali fa invece continuamente litiga in questo dopoguerra: due
terzi degli attuali Stati Uniti sono stati ceduto alle colonie inglesi dell’Est
a titolo quasi gratuito dalla Francia. In funzione antinglese. Si può anche
dire che non c’è saggezza nella politica francese, non negli ultimi secoli.
A proposito del Leopardi
diciassettenne della “Orazione”, Saverio Ieva, “Amor di patria e misogallismo
nel giovane Leopardi”, nota: “La spedizione di Murat (negli Stati del papa, n.d.r., per una Italia unita
sotto il suo scettro) e il proclama di Rimini suscitarono reazioni
contrastanti. Ad esempio, nel caso di Manzoni riscontriamo l’adesione
entusiastica della canzone incompiuta “Il Proclama di Rimini”. Ma anche in Manzoni
possiamo notare incertezze e oscillazioni di schieramento : un anno prima
egli aveva, nel frammento “Aprile
1814”, celebrato la caduta del napoleonico Regno d’Italia,
esprimendo speranza nella restaurazione ad opera degli Austriaci che avevano
promesso leggi liberali. L’esecrazione della Rivoluzione dell’Ottantanove,
l’odio per Napoleone, l’avversione per i Francesi – unitamente all’ideologia
legittimista, che ha acquistato forza durante l’epoca napoleonica –
caratterizzano invece tutta una serie di prese di posizione lealiste nei
confronti dei governi ancien régime. Fra queste, nel caso
dell’impresa fallita di Murat, abbiamo l’orazione “Agl’Italiani”, scritta a Recanati fra
il 19 maggio e il 18 giugno 1815” .
Razziali, leggi –
Sottovalutate nel loro significato, e nella possibile portata, a lungo, anche
dall’antifascismo – da Nenni per esempio. Mentre non erano estemporanee. Non
dettate dalla volontà di compiacere il neo alleato Hitler, dopo la lite
sull’Anschluss, l’annessione dell’Austria, incontrato sul fronte franchista in
Spagna, e sodale poi contro le sanzioni. Non solo da quello. Furono la parte
culminante degli Anni del Consenso. E con una ragione
specifica nella logica o pratica del potere di Mussolini, che si rafforzava con
l’idea del nemico. Suscitandone quando non se ne presentavano.
Con le leggi razziali Mussolini tentò la creazione di un nemico interno. E ci riuscì. Perfino più di quanto immaginasse o volesse. A giudicare dal trattamento delle denunce. Che furono copiose. Franzinelli, nella ricerca d’archivio sui “Delatori”, si è imbattuto in miriadi di denunce di ebrei e supposti ebrei. Qualcuna anche firmata, la risposta popolare all’odio implicito nelle leggi razziali fu ampia. Tale che la polizia politica e lo stesso Mussolini dovettero impegnarsi a limitarla – v. ai capp. VI e VII, questo specialmente, i capitoli centrali dei “Delatori”.
Con le leggi razziali Mussolini tentò la creazione di un nemico interno. E ci riuscì. Perfino più di quanto immaginasse o volesse. A giudicare dal trattamento delle denunce. Che furono copiose. Franzinelli, nella ricerca d’archivio sui “Delatori”, si è imbattuto in miriadi di denunce di ebrei e supposti ebrei. Qualcuna anche firmata, la risposta popolare all’odio implicito nelle leggi razziali fu ampia. Tale che la polizia politica e lo stesso Mussolini dovettero impegnarsi a limitarla – v. ai capp. VI e VII, questo specialmente, i capitoli centrali dei “Delatori”.
Si denuncerà dopo l’8
settembre anche per la taglia, che veniva pagata a chi denunciava un ebreo. Si
denunciava prima, a partire dal 1939, anche per entrare in possesso dei beni
sequestrati. Dal 1940 le case sequestrate vennero date agli italiani “ariani” colpiti
dai bombardamenti alleati.
Le leggi furono seguite
da circolari e regolamenti di attuazione, con disposizioni minute. Il tutto
inteso contro i non appartenenti alla “razza ariana”, ma essenzialmente contro
gli ebrei. Che efrano in tutto 47 mila, di cui però circa diecimila erano
stranieri, in gran parte provenienti da Germania e Austria, gente che confidava di
trovare in Italia una destinazione sicura.
Malgrado il profluvio di
limitazioni, non ci fa tra gli ebrei la percezione di un pericolo. L’assurdità
dei vincoli fece pensare a una mossa opportunistica di Mussolini per avvicinare
Hitler, che poi sarebbe stata trascurata. Molti intrapresero una via d'uscita
individuale, chiedendo la “discriminazione” dalle leggi (discriminatorie), per
meriti fascisti, o patriottici (merito di guerra). Qualcuno si fece battezzare.
Il regime mise in pratica
le discriminazioni, quelle razziali, ma non la persecuzione. Anche nelle aree
occupate dalle truppe italiane, in Francia, in Grecia, in Dalmazia, non attuò
la deportazione e non la consentì. Fino all’8 settembre.
Le leggi furono sottostimate
anche dall’antifascismo militante. Mentre non suscitarono nessuna reazione
nella società civile. Le scuole cacciarono gli allievi ebrei senza porsi alcun
problema, né i presidi né gli insegnanti. Tutti i posti liberati nello Stato e
nelle università, un migliaio solo nelle università, furono occupati senza problemi
da candidati “ariani”.
astolfo@antiit.eu
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