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lunedì 10 settembre 2018

Il mondo com'è (352)

astolfo


Algoritmo – Viene da – è deformazione di – Al Kwarizmi, come è noto, illustre matematico persiano del secolo Nono, il cui trattato in arabo, scritto verso l’825, introduce i numeri arabi, e lo zero, fino ad allora non concepito. Ma non per caso: Al Kwarizmi aveva curato la traduzione in arabo delle opere matematiche dell’epoca greco-ellenistica, nonché del’antica Persia, di Babilonia, dell’India. Un cratere lunare ha il suo nome. Gerolamo Cardano, “Ars Magna”, lo dirà il creatore dell’algebra – anche “algebra” deriva dall’arabo e significherebbe “completare” o “ripristinare”, che è una delle due operazioni descritte da Al Kwarizmi nel libro per risolvere le equazioni di secondo grado.
“Algoritmi de numero Indorum” è titolo della tarda traduzione latina, di Gerardo di Cremona, seconda metà del secolo XII. In precedenza Roberto di Chester ne aveva freso una sin tesi in altino, pubblicandola a Segovia nel 1145, “Liber algebrae et almucabala”. Il titolo originale, “Al Kirab al-Mukhtasar fi Hisab al-Jabr wa’l-Muqabalah”, contiene la parola algebra, che entrerà nell’uso comune, pur avendo in arabo il significato specifico di “riduzione” o “completamento”, intendendo la trasposizione dei termini sottratti da un membro all’altro dell’equazione. L’“al muqabalah”, che ha senso simile, di “riduzione” o “equilibrio”, di cancellazione dei termini simili che compaiano in entrambi gli elementi di un’operazione, è caduta in disuso.

Misogallismo – C’è una curiosa tradizione italiana anti-francese. Che risale ai primordi dell’Italia, del vagheggiamento di un’Italia unita. C’è in Dante, che pure stava per scrivere nella lingua dei trovatori, come il suo maestro Brunetto Latini. C’è forte in Petrarca, che pure fu, a suo agio e innamorato, in Avignone e in Provenza. C’è nella pubblicistica narrativa e storica del Quattro-Cinquecento, qui già con qualche motivo: la politica, le guerre, le invasioni.  Specie di Machiavelli, che fu ambasciatore inascoltato in Francia, e Guicciardini. E poi, in  reazione all’antitalianismo, nella Francia di Caterina dei Medici, che pure salvò la dinastia francese e probabilmente la stessa Francia. Molto misogallismo alimenterà la rivoluzione del 1789, e non fra i reazionari – a parte il giovanissimo Leopardi dell’Orazione agli Italiani”, 1815, contro Murat e per il papa, sotto l’influenza del padre conte Monaldo. Dubiterà della rivoluzione, degli effetti della rivoluzione, lo sesso francofilissimo Manzoni. Il culmine si era raggiunto col “Misogallo” di Alfieri, in piena rivoluzione dell’Ottantanove.
“L’antifrancesismo è tema ricorrente nei rapporti culturali fra Italia e Francia, come lo è il suo corrispondente speculare, l’antiitalianismo. Già in Dante, autore per certo impregnato di cultura francese, la polemica contro la monarchia francese – d’ordine eminentemente politico, dato lo stretto legame tra la Francia, gli angioini d’Italia e la parte guelfa avversa a Dante – è talmente forte da suscitare ripulse e moti di antiitalianismo oltralpe, soprattutto a causa di un immaginario ingiurioso creato (o diffuso) da Dante, come quello fondato sulla leggenda di Ugo Capeto, figlio di un beccaio di Parigi” – Saverio Ieva, nello studio dell’“Orazione agl’Italiani” di Leopardi.
Più forte è lo scontro sul piano culturale, e sempre reciprocato. Con Petrarca, sempre Ieva, “nasce e si sviluppa una querelle sul primato culturale delle due nazioni che informerà i dibattiti letterari fra Italia e Francia fino al Cinquecento, e porrà le basi per ulteriori dispute circa una lettura (e valutazione) parallela delle due letterature, che ancora all’inizio dell’Ottocento fornirà argomento di discussioni”.
Si parte da lontano: “In una lettera del 1368 a Urbano V, per esaltare il primato della cultura letteraria italiana, Petrarca aveva affermato « oratores et poetae extra Italiam non quaerantur»”.Non si riferiva alla Francia. Ma “questa frase suscitò in Francia forti polemiche: tra il 1369 e il 1370 Jean de Hesdin componeva e diffondeva un’apologia antipetrarchesca, «Contra Franciscum Petrarcam epistola»”. Petrarca ne aveva notizia a gennaio, e l’1 marzo datava da Padova una risposta sui toni dell’invettiva, “Invectiva contra eum qui maledixit Italiae”. La disputa continua per tutto il Trecento, e sarà ripresa all’inizio del Cinquecento. Ma già, con la discesa di Carlo VIII, era stata superata in asprezza dalla querelle politica.

Usa far credito alla Francia di Napoleone III dell’unità d’Italia. Ma anche questo è dubbio. Macron e Sarkozy in Libia non sono una novità: niente viene di buono all’Italia dalla Francia. Ma forse anche agli altri europei, inglesi, tedeschi, spagnoli, olandesi, possono porsi la domanda. La Francia è stata solamente buona con gli Stati Uniti – con i quali fa invece continuamente litiga in questo dopoguerra: due terzi degli attuali Stati Uniti sono stati ceduto alle colonie inglesi dell’Est a titolo quasi gratuito dalla Francia. In funzione antinglese. Si può anche dire che non c’è saggezza nella politica francese, non negli ultimi secoli.

A proposito del Leopardi diciassettenne della “Orazione”, Saverio Ieva, “Amor di patria e misogallismo nel giovane Leopardi”, nota: “La spedizione di Murat (negli Stati del papa, n.d.r., per una Italia unita sotto il suo scettro) e il proclama di Rimini suscitarono reazioni contrastanti. Ad esempio, nel caso di Manzoni riscontriamo l’adesione entusiastica della canzone incompiuta “Il Proclama di Rimini”. Ma anche in Manzoni possiamo notare incertezze e oscillazioni di schieramento : un anno prima egli aveva, nel frammento “Aprile 1814”, celebrato la caduta del napoleonico Regno d’Italia, esprimendo speranza nella restaurazione ad opera degli Austriaci che avevano promesso leggi liberali. L’esecrazione della Rivoluzione dell’Ottantanove, l’odio per Napoleone, l’avversione per i Francesi – unitamente all’ideologia legittimista, che ha acquistato forza durante l’epoca napoleonica – caratterizzano invece tutta una serie di prese di posizione lealiste nei confronti dei governi ancien régime. Fra queste, nel caso dell’impresa fallita di Murat, abbiamo l’orazione “Agl’Italiani”, scritta a Recanati fra il 19 maggio e il 18 giugno 1815” .

Razziali, leggi – Sottovalutate nel loro significato, e nella possibile portata, a lungo, anche dall’antifascismo – da Nenni per esempio. Mentre non erano estemporanee. Non dettate dalla volontà di compiacere il neo alleato Hitler, dopo la lite sull’Anschluss, l’annessione dell’Austria, incontrato sul fronte franchista in Spagna, e sodale poi contro le sanzioni. Non solo da quello. Furono la parte culminante degli Anni del Consenso. E con una ragione specifica nella logica o pratica del potere di Mussolini, che si rafforzava con l’idea del nemico. Suscitandone quando non se ne presentavano. 
Con le leggi razziali Mussolini tentò la creazione di un nemico interno. E ci riuscì. Perfino più di quanto immaginasse o volesse. A giudicare dal trattamento delle denunce. Che furono copiose. Franzinelli, nella ricerca d’archivio sui “Delatori”, si è imbattuto in miriadi di denunce di ebrei e supposti ebrei. Qualcuna anche firmata, la risposta popolare all’odio implicito nelle leggi razziali fu ampia. Tale che la polizia politica e lo stesso Mussolini dovettero impegnarsi a limitarla – v. ai capp. VI e VII, questo specialmente, i capitoli centrali dei “Delatori”.
Si denuncerà dopo l’8 settembre anche per la taglia, che veniva pagata a chi denunciava un ebreo. Si denunciava prima, a partire dal 1939, anche per entrare in possesso dei beni sequestrati. Dal 1940 le case sequestrate vennero date agli italiani “ariani” colpiti dai bombardamenti alleati.
Le leggi furono seguite da circolari e regolamenti di attuazione, con disposizioni minute. Il tutto inteso contro i non appartenenti alla “razza ariana”, ma essenzialmente contro gli ebrei. Che efrano in tutto 47 mila, di cui però circa diecimila erano stranieri, in gran parte provenienti da Germania e Austria, gente che confidava di trovare in Italia una destinazione sicura.
Malgrado il profluvio di limitazioni, non ci fa tra gli ebrei la percezione di un pericolo. L’assurdità dei vincoli fece pensare a una mossa opportunistica di Mussolini per avvicinare Hitler, che poi sarebbe stata trascurata. Molti intrapresero una via d'uscita individuale, chiedendo la “discriminazione” dalle leggi (discriminatorie), per meriti fascisti, o patriottici (merito di guerra). Qualcuno si fece battezzare.
Il regime mise in pratica le discriminazioni, quelle razziali, ma non la persecuzione. Anche nelle aree occupate dalle truppe italiane, in Francia, in Grecia, in Dalmazia, non attuò la deportazione e non la consentì. Fino all’8 settembre.
Le leggi furono sottostimate anche dall’antifascismo militante. Mentre non suscitarono nessuna reazione nella società civile. Le scuole cacciarono gli allievi ebrei senza porsi alcun problema, né i presidi né gli insegnanti. Tutti i posti liberati nello Stato e nelle università, un migliaio solo nelle università, furono occupati senza problemi da candidati “ariani”.

astolfo@antiit.eu

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