Una storia in due episodi di solitudine,
imposta. Dalla guerra, a interrompere un’amicizia intensa come
un’immedesimazione. Semplice, “tirata via” come si vuole di Scerbanenco,
scrittore veloce. Ma calibrata sull’esperienza dello stesso autore, profugo in
Svizzera dopo l’8 settembre. Della quinta o sesta specie di profughi. “Quando
il nemico invase la Paria”, spiega Scerbanenco in apertura, “alcuni continuarono
come prima… Altri invece, forse perché avevano più orrore del nemico, si
nascosero… Altri combatterono, altri
cospirarono per la liberazione. Altri cercarono di raggiungere un paese
neutrale. Qui vennero messi in campo di concentramento”. O affidati alla buona
volontà dei cittadini: “Molti di essi vennero un giorno tolti dai campi e ospitati
da pietosi amici”.
Scerbanenco, pubblicandola a
caldo nel luglio 1945, spiega il bisogno di scriverne con l’utilità: “Un
romanzo può anche essere utile. All’autore è servito durante il suo gramo
esilio”. Storie venate da amori impossibili, come se un malefizio vigilasse
invidioso contro l’intelligenza, la passione, la dedizione. Nelle quali Scerbanenco
è al meglio, con Mutti nella prima storia, con Mita nella seconda, tratteggiate
con lievità ma ben delineate – Mira “era una donna, ma era anche un’amica, anzi
un amico”.
Un “romanzo” sommesso, sui
toni dell’elegia. Di piccole vicende, di minuti affetti, le ospiti, sorelle
nubili, il cane, l’isolamento, le malattie, l’amorosa famiglia. Seppure con
l’onomastica falsata che Scerbanenco predilige, che un po’ falsa le sue storie
– una sorta di brechtiana estraniazione. L’esito è quello che l’editore ci
legge: “Una sinfonia patetica discretamente travolgente”. Sul presupposto
vigorosamente chiaro all’autore: nessuna solitudine è bella.
È l’altro tema
dell’avvertenza con cui concludeva il romanzo subito alla fine della guerra:
“Nessuna forma di solitudine è bella, e tanto meno buona. La solitudine
obbligata, come quella dei protagonisti della vicenda, è dolore. Quella
volontaria è egoismo, disamore, perfino superbia, anche la beata solitudo. La misantropia è immorale, su di essa germogliano
le guerre”
Giorgio Scerbanenco, Non rimanere soli, il melangolo,
remainders, pp. 298 € 7,62
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