Majakovskij - C’era
stata un’altra volta, diceva Lilja alla mostra “Majakovskij: 20 ans de
travail”, ordinata da Pontus Hulten e Marie-Laure Antelme, al Centre Pompidou,
a dicembre del 1975. nel ‘16: “La pistola non funzionò. Allora decise
di aspettarmi”.
Nel
’16 Majakovskij era già stregato da Lilja. Ma prima o dopo l’ode “All’amato me
stesso”, e la autobiografia “Di me stesso”, ventitreenne? Il poeta Majakovskij si amava.
Lilja era a Parigi seducente a 84 anni, i capelli ramati, col
marito Vassili Katanian, piccolo, baffi, bocca incavata. Arrivò il giorno dopo
l’apertura della mostra, per far pesare l’attesa, e per dire a “Le Monde” che il ritardo era dovuto all’invidia
di “quelli” di “laggiù”, che la odiavano perché ebrea. L’unica oppositrice a piede
libero a Mosca, con visto di uscita anzi, e con molti privilegi – nel dopoguerra
sfamò sua sorella Elsa e Aragon con pacchi dono opulenti. Moltiplicava per tre
gli anni della sua storia con Majakovskij, di cui si diceva moglie, benché non
sposata – giraffone, è vero, il poeta si vedeva, inutile, “quali Golia mi hanno
concepito\ così grande\ e (to)talmente inutile”, ma si proteggeva: “Non verrò
mai raggiunto\ dall’infame senso comune”. Osip Brik resta primo e duraturo
marito di Lilja, tra amori e affari. Il secondo, Vitali Primakov, finì nelle
purghe del ‘36. Vassili era il terzo, ma l’insidia non s’arrestava, la voce ancora
d’un cristallino adolescenziale.
Esenin
lo hanno portato al suicidio i suoi ultimi versi, “in questa vita morire non è
morire\ ma anche vivere non è, certo, più nuovo”. Dopo i quali non poteva che uccidersi,
scrisse Majakovskij. C’è chi dice che Trockij lo volle morto, perché non tornasse
a emigrare. Majakovskij era invece libero di viaggiare, anche se grazie a
Lilja, l’amore che si negava, agli ottimi rapporti di Lilja e Osip con la Čekà,
la polizia segreta. Di entrambi Tsevateva sostenne: “Il suicidio non esiste,
esistono solo gli assassini” - che poi s’impiccherà povera e sola, nel
Tatarstan. Esenin in realtà morì sfigurato dall’alcol, e dal cosmopolitismo
imposto dal successo, a lui nazionalista contadino. “Il suicidio”, aveva
scritto Majakovskij, “isolato dalla sua complessa situazione sociale e
psicologica, con la sua momentanea negazione immotivata, opprime per il tono di
falsità”. Un complotto dunque ci vuole se a spararsi è Majakovskij – il
complotto è l’idea della politica che si fa l’intellettuale, che non si fa
molte idee. Anche se col poeta è semplice, se era spia di se stesso, in quanto
comunista.
Majakovskij
si batteva, col Lef, col Ref, ci ha creduto. Autore di versi per la rivoluzione sterminati,
tremila solo in morte di Lenin. Nel viaggio che lo meravigliò a New York,
s’immaginò di far saltare il capitalismo: “Sotto Wall Street passa una galleria
della metropolitana; basterebbe imbottirla di dinamite e farla esplodere”.
Titolare dell’Educazione, dicastero che stava molto a
cuore a Lenin, e suo protettore era Lunačarskij, che aveva tentato nei circoli
ortodossi la “ricostruzione di Dio”, una ricostruzione materiale, pezzo per
pezzo, da fornire alle masse in sostituzione del Dio vecchio. Ma le masse
sono insidiose, il poeta invece prudente: “L’arte autentica, proletaria,
sovietica, dev’essere compresa dalle masse?”, chiedeva. “Sì e no”, arguiva: “Il
carattere di massa del Padrenostro ne giustifica forse il diritto all’esistenza?”
La politica, diceva, “non è la mia specialità”. Non da ultimo. E: “Il nostro
poeta è il giornale”. La sua fede era nella “risuscitazione” dei corpi, il
progetto scientifico e mistico di Fëdorov, l’autore della “Filosofia della causa comune”. Era
realista e astratto, anche se a un certo punto decise di “amnistiare”
Rembrandt.
Osip-Ossian
Brik gliel’aveva sentito dire dieci anni prima: “Non poche divinità ha
rovesciato il proletariato. Ma un dio è rimasto intatto, in un tempio il
proletariato vittorioso ha paura di entrare. Questo dio è la bellezza, questo
tempio è l’arte”. Poco prima della morte una brigata Majakovskij s’era costituita,
per la diffusione e lo studio dell’opera, diretta dall’operaia M. Koltsova. Il
poeta aveva dedicato alla brigata una serata. Dicendosi malato, alla gola e
forse agli occhi, forse prossimo alla cecità, forse all’ultima serata. Aveva
anche allestito una mostra per i suoi venti anni di poesia. Di poca
soddisfazione: la politica è volubile. Pasternak lo vide steso a terra “imbronciato
e sdegnato”, su un fianco, “voltando con fierezza le spalle a tutti”.
Majakovskij era alto un metro e novantatré.
Una tesi vuole che il suicidio sia stato
indotto, dalla polizia politica che lo ricattava, tramite il donnino goloso di
Parigi e il suo marito dell’epoca. È possibile. Majakovskij, dice Sklovskij,
aveva un passato del quale non parlava. Fu in prigione da ragazzo, quasi
bambino. Era controllato per essere stato precoce comunista. La casa della
madre era invece sotto controllo per motivi di pudore. Majakovskij che, dice
Sklovskij, era un pittore. Sempre elegante, nella povertà dei mezzi, e
egolatrico. Ma inerme, e tanto più per la stazza.
La questione fu comunque decisa presto, quando
a vent’anni il poeta s’imbattè in Lilja, sotto forma della più giovane sorella
Elsa che lo innamorò. Lilja, già di ventisette anni, se ne impadronì e ne terrà
strette le briglie col marito Osip.
Neolingua
– La profezia di Orwell si avvera con i social, con la rete? Il quattordicesimo requisito del fascismo è la
Neolingua, la lingua di legno – quella per la verità che Orwell prese di mira
nel sovietismo. Ma oggi la Novella Lingua non è il politicamente corretto,
l’insostenibile conformismo di una certa sinistra – da ultimo obamiana - per il
resto guerrafondaia, imperialista, monopolista, speculatrice?.
Scrittori – L’anno scorso più di quattromila
scrittori hanno fato domanda di una residenza al Mall of America.
Il Mall of America è un centro commerciale.
Ma non vuole gli scrittori alle vendite. Fornisce i soldi per un locale
proprio, uno studio o una sanza, per alcuni mesi.
Sottomissione – Il cantante islamista
Médine, autore di “Jihad”, vuole esibirsi al Bataclan, il locale della strage
jihadista tre anni fa. Bene accolto dalla proprietà del locale, che ha già
vendjuto tutti i biglietti. Sembra “Sottomissione” di Houellebecq. Che quindi
era un reportage, non un romanzo.
Spie comuniste – Tra i letterati erano
donne. Molte anch’esse letterate. Christa Wolf nella Germania Orienta le. Kristeva in Bulgaria e poi a Parigi. Mentre
resta da accertare il ruolo di Elsa Triolet, moglie di Aragon e scrittrice in
proprio - Triolet per un precedente matrimonio, di suo Elsa Kagan, sorella di
Lilja Brik. E della sorella rimasta in patria, Lilja, bisogna ancora accertare
la funzione, Che di Stalin era collaboratrice stretta, al tempo del suicidio di
Majakovskij, dopo e prima – una delle dame della Nomenklatura, sebbe non
esercitasse nessuna funzione politica e non avesse nessun mestiere.
Julia Kristeva Laurent Binet l’aveva assolta
dai sospetti, incieme con Todorov, perché bulgari dissidenti, nello
pseudo-giallo “La settima funzione del linguaggio”. Ma anche Christa Wolf è
stata spesso assolta, di cui non è in dubbio la collaborazione con la Stasi, la
polizia segreta comunista in Germania: perché era dissidente, la regina anzi
dei “dissidenti” a Berlino Est.
Anche
Majakovskij fu spia, ma non si dice. Fin da quando a vent’anni il poeta
s’imbatté in Lilja, sotto forma della più giovane sorella Elsa che lo innamorò.
Lilja, già di ventisette anni, se ne impadronì e ne terrà strette le briglie
col marito Osip. E
di spie fu sempre attorniato. Nelle relazioni maschili, con le spie di
professione Agranov e El’bert, che lo controllavano. E in quelle femminili.
Quando nel 1928 Elizaveta Zilbert, in arte Elly Jones, da New York decise di
recarsi a Parigi e rimettersi col poeta, Lilja l’anticipò, promuovendo
l’affascinante Tat’jana Jakovleva, un’emigrata. Quando l’anno dopo il poeta
ingenuo s’apprestava a proporre le nozze a Tat’jana, Lilja fulminea scambiò le
parti: Tat’jana andò sposa a un visconte du Plessix, mentre una Veronica
Polonskaja si rese disponibile, benché sposata.
Topolino – Su “La Lettura” Giorello
ne fa un filosofo, “il filosofo del fare”. Per molte cartelle. Senza colpa:
Giorello deve pur ricordare che Topolino è stato “visto via via come un
nostalgico del passato o come un tipo proteso verso il futuro, come un ribelle
anticonformista o come un difensore dei «valori americani», come un
conservatore o come un individualista sovversivo”,
un anarchico.
Come una fantasia di bambini no,
l’infanzia non è più con noi? Come un animaletto simpatico che non sia il solito
gatto o cane, e anzi quello di cui si insegnava che bisogna avere paura?
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