Si celebra (?)
il mese dal disastro del Polcevera tra solenni promesse che tutto tornerà come
prima, tra un anno, tra un mese, tra un giorno. Nessuno che dica che quel viadotto
è un mostro , fra i tanti ecologisti puristi che riempiono il governo e i
media. Quattro carreggiate dense di autoveicoli ogni minuto di ogni giorno e ogni
notte, soprastanti migliaia di abitazioni e decine di migliaia di persone, che
avvelenano di rumori assordanti costanti e di di polveri, sottili e grosse. Il viadotto
era già assassino, lo è stato per cinquant’anni. Non c’è da spiegare che non è
vita sotto un viadotto.
Il viadotto
crollato è l’ultimo, un degli ultimi, misfatti della “rivoluzione urbana” degli
anni 1950, che riempì le città, sull’esempio americano, da Houston a Boston, di
autostrade e nodi stradali in sopraelevazione sui centri abitati. Della
circolazione elevata a feticcio. A danno dei poveri delle abitazioni sottostanti,
e dei non poveri.
Una urbanistica attiva in Europa, che va al carro Usa, ancora
negli anni 1960, di cui non solo Genova, anche Roma ha un esempio illustre,
l’orrida Tangenziale Est, che è invece al centro della città, monumento
all’allora ferreo connubio di Italcementi e Italsider, privato e pubblico uniti
nella lotta.
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