L’ambasciatore a Tripoli Perrone dà
un’intervista a una tv locale, ai primi di agosto. in arabo. Nulla di speciale,
le solite profferte di amicizia, giusto per irrobustire la solidarietà
manifestando la conoscenza dell’arabo. Macron se ne avvede e contrattacca. Avverte
Haftar, che non se n’era accorto, manifestazioni sono organizzate a Bengasi e
Tobruk, sparute ma minacciose. Il 12 agosto Haftar critica personalmente
Perrone. A fine agosto la newsletter francese “Africa Intelligence” annuncia
che “l’Italia sacrifica l’ambasciatore Perrone al generale Haftar”. Detto e fatto – forse la traduzione della
newsletter è stata lenta alla Farnesina: l’ambasciatore italiano a Tripoli è ora sfiduciato, dal ministro degli Esteri del suo paese.
Tutto chiaro. Manca il ministro italiano,
Moavero Milanesi. Che non si sa chi è, ma fa il ministro degli Esteri al
governo. È lui che dichiara Perrone persona non grata a Tripoli. Entrerà per
questo negli annali diplomatici, ma questo non è il più importante: l’avventura
di Macron in Libia sembrava senza sbocchi, ma Moavero gli ha steso un tappeto.
Questo Haftar è un generale di Gheddafi,
uno che si vuole terribile e già “eletto”. Per anni si è proposto a Roma e al Cairo
come uomo forte in Libia. Gli americani, credendo di giocare alla democrazia,
hanno scelto un civile, e Haftar se l’è presa. Ha insistitito ancora con Roma,
poi, eletto Macron, ha trovato breccia a Parigi: su di lui il presidente francese
in cerca d’avventura punta per prendersi il petrolio della Libia invece dei
legittimi operatori.
A Moavero Milanesi, il ministro degli
Esteri italiano, non hanno forse spiegato che non si fanno affari con i libici battendosi
il petto. Diciamo che è un innocente. Si era già spaventato nei giorni scorsi,
quando gli hanno fatto credere che c’era la guerra a Tripoli e in ogni dove –
mentre l’Eni pompava tranquillamente il petrolio.
Il curioso è che la posizione francese
è fatta propria da “Il Fatto Quotidiano” e altri giornali minori.
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