Questa edizione-saggio ne
riporta i primi quattro. Un sorta di preistoria. Il canto I è la rinascita dell’uomo
europeo in un ventre sconosciuto, come Giona nella balena, il nuovo continente.
Apprestandosi a diventare Lincoln, Achab, Thoreau, John Brown, Tom Paine, Lindbergh, Gene Tunney e Babe Ruth e Jackie Robinson. Thomas Wolfe, o “Ti-Jean Kerouac alla Columbia,\ che sogna il Messico Sotto il vulcano”, o anche Tom Sawyer. Il II è una riflessione sul tempo, al modo dei “Quartetti” di
Eliot. Il III mette in scena Omero ermeneuta, che tra serio e faceto racconta
la poesia americana, da Whitman a Pound. E un repertorio organizza di un paio di centinaia di definizioni di poesia, di modi di poetare e di citazioni sparse. Col IV si entra nella storia, la conquista di Colombo – in linea con la
celebrazione del cinquecentenario della scoperta, critica, in anticipo sulla damnatio memoriae odierna.
Il Nuovo Continente, ex Nuovo, è in cerca di un’epopea. Il genere epico è il suo genere, in poesia e
nella narrativa. Il segno di un’assenza? Di una presenza ingombrante? Di
Ferlinghetti i toni sono smorzati, quasi crepuscolari. Alla Pasolini. O come
già in Eliot, e in Williams – e nello stesso Pound, a ripensarci. Didascalica,
saggia, sentenziosa – chi era Walt Whitman, cos’era Woodstock… Nel IV, nota
Bacigalupo, è in sintonia singolare con Dario Fo, il “Joann padan”, come il padre lombardo di Ferlinghetti, morto prima che il poeta venisse alla luce. Ma manda a dire più che divertire, il poeta resta beat nell’animo, fuori dagli schemi.
Il settore “America” nella
libreria che Ferlinghetti ha diretto a San Francisco, spiega Bacigalupo, inalberava
questo rinvio: “Vedi sotto Continenti Rubati”. Una maniera molto americana di
essere americano, non da disadattati.
Lawrence Ferlinghetti, Americus, interlinea, pp.
100 € 6
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