Non si organizzano viaggi che a Pechino. Tria e il suo sottosegretario.
Come Merkel ogni anno. Come naturalmente Macron, dopo Hollande. Si va in Cina
quasi più che a Washington.
Il Vaticano è con la Cina che fa accordi – il Vaticano di un
papato che con Trump non ci parla nemmeno. E ne accetta le condizioni, anche se
la resa presenta come una vittoria: il governo cinese non sceglie più i
vescovi, ma dà loro il placet, ne ha il diritto, di darlo o rifiutarlo.
Si va cioè in Cina anche se la Pechino comunista è spesso
intrattabile. È un orizzonte che si apre per l’Europa, anche se confuso – per l’Europa che all’improvviso ha
capito quello che tutti sanno da venti o trent’anni: che senza la guerra fredda
non ha più un ruolo, se non come potenza commerciale. Mentre la dura Cina
comunista è player globale. S’è
assoggettata l’Africa. Patrocina l’Est europeo. Dà una mano alla Russia.
Putin cerca in Cina una via d’uscita al cerchio Nato, più che
sul fianco Sud, dell’inaffidabile Medio Oriente (Iran, Siria, Turchia). Anche
in armonia col suo rilancio del progetto Eurasia. Ci fa accordi commerciali,
finanziari, di libero transito, e manovre militari congiunte, per terra, mare e
cielo.
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