domenica 14 ottobre 2018

A Pechino più che a Washington


Non si organizzano viaggi che a Pechino. Tria e il suo sottosegretario. Come Merkel ogni anno. Come naturalmente Macron, dopo Hollande. Si va in Cina quasi più che a Washington.
Il Vaticano è con la Cina che fa accordi – il Vaticano di un papato che con Trump non ci parla nemmeno. E ne accetta le condizioni, anche se la resa presenta come una vittoria: il governo cinese non sceglie più i vescovi, ma dà loro il placet, ne ha il diritto, di darlo o rifiutarlo.
Si va cioè in Cina anche se la Pechino comunista è spesso intrattabile. È un orizzonte che si apre per l’Europa, anche se  confuso – per l’Europa che all’improvviso ha capito quello che tutti sanno da venti o trent’anni: che senza la guerra fredda non ha più un ruolo, se non come potenza commerciale. Mentre la dura Cina comunista è player globale. S’è assoggettata l’Africa. Patrocina l’Est europeo. Dà una mano alla Russia.
Putin cerca in Cina una via d’uscita al cerchio Nato, più che sul fianco Sud, dell’inaffidabile Medio Oriente (Iran, Siria, Turchia). Anche in armonia col suo rilancio del progetto Eurasia. Ci fa accordi commerciali, finanziari, di libero transito, e manovre militari congiunte, per terra, mare e cielo.

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