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sabato 6 ottobre 2018

A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (377)

Giuseppe Leuzzi


La curva della Juventus viene regolarmente squalificata quando a Torino gioca il Napoli, per insulti razzisti, ai napoletani e agli africani che giocano nel Napoli. Una curva dove s’immaginano numerosi i tifosi juventini immigrati a Torino dal Sud, o i loro figli.

Si vede da qualche anno su Rai Uno e al cinema una Napoli tutta lindura e ricchezza - “Pizzofalcone”, “Non dirlo al mio capo”, perfino “Gomorra”, Ozpetek, Costanzo... Ricchezza, eleganza, ordine, efficienza,  parcheggio facile. Si gira con i fondi della Regione Campania? Perché la cronaca è di violenza. Non solo tra camorristi e spacciatori. Si assalta il centravanti Milik – dopo Higuain – a mano armata, mentre è in compagnia della fidanzata, la notte della “storica” vittoria del Napoli sul Liverpool.

Un ragazzo è stato ucciso in agosto a Diamante, all’uscita dalla discoteca, a coltellate, da coetanei. Un caso frequente a Roma, effetto della birra e delle droghe, ma anomalo nella cittadina calabrese, dove ha fatto e fa scalpore. Anche perché degli aggressori, più di uno, uno solo è stato individuato – forse. La notte era affollata, ma non ci sono testimoni. Non per omertà – Diamante in estate è dei turisti, napoletani o di altre provenienze. Il sito francoabruzzo.it, che ha preso a cuore il caso, diffonde da settimane il messaggio: “Tanti hanno assistito alla sequenza di gesti folli di quella notte di sangue, preferendo però il ruolo di spettatori mascherati dietro un cellulare, per riprendere le macabre scene”, piuttosto che intervenire o chiamare i Carabinieri.
Tutto arriva al Sud nel suo aspetto peggiore, anche il divertimento. 

Basilico a Milano
Si posta a Milano il “meraviglioso oro d’autunno”, coloristico, coltri di foglie dorate sul fondo giallo-verde dei tram. Non c’era occhio per questo sessant’anni fa. “Da noi, nel Sud, non vi è casa, per quanto tana orribile sia (e ve ne sono anche di una semplicità e purezza meravigliose, greche), che non abbia alla finestra la sua piantina, rosa o garofano, geranio, gelsomino, e, se non altro, almeno l’arguto e casalingo rosmarino, la ruta o il basilico”. Cosi sentiva il bisogno di scrivere nel 1950 Anna Maria Ortese, a disagio a Milano, dove si era trasferita da due anni per lavoro – curava la posta de “l’Unità” edizione milanese, “La posta di Anna Maria”. A Milano questo non c’era e le mancava. Non c’era di fatto e neanche se ne parlava: “Fa una dolorosa impressione a chi venga dal Sud, e comunque da luoghi dove gli uomini spesso s’identificano con le pietre, le montagne, i fiori, non sentire mai, dico mai, parlare delle cose che erano prima che sorgessero queste grandi città  da esse nascessero questi uomini: voglio dire il sole, le piante, gli animali”.
Lo scriveva per pubblicazioni milanesi: il testo (ora in “Le Piccole Persone”) fu pubblicato da “Risorgimento”, 30 marzo 1950, e da “Milano-Sera”, 12-13 aprile 1950. Ma senza suscitare echi. L’unità avrà fatto bene a Milano, insieme con l’immigrazione dal Sud un secolo dopo: la città ha scoperto l’insalata, oltre ai fiori al davanzale. Prima non c’era sensibilità, lamentava Ortese: “Certamente, anche qui cresceranno queste piante”, scriveva dei fiori in vaso, “insieme ad altre più importanti o graziose, però non se ne parla, non ve n’è cenno nelle parole degli uomini e delle donne; e dubito fortemente che, nelle loro menti, esse non abbiano una parte piuttosto priva d’interesse; inferiore sempre a quella che avrebbe un comodo mobile o una perfetta ghiacciaia, un forno elettrico”.
I milanesi, e le milanesi, Ortese inseguiva anche in vacanza. E con loro gli “innumerevoli” che “se ne aggiungono ogni anno dalle molte province d’Italia”, per “adoperare (in vacanza) l’inutile che hanno raggiunto”: “In montagna, al mare, sui laghi o in altri bellissimi luoghi dove corrono, essi non si spogliano affatto di quel loro lucido e quasi impermeabile costume cittadino; non è che vadano a meravigliarsi nella luce dei venti, delle acque, delle morbide nevi. Si rifugiano in alberghi «perfettamente attrezzati»”, etc. etc.

Il mercato mafioso è all’obitorio
Pasquale Di Filippo, mafioso pentito, da ormai 23 anni, si querela contro la Rai per essersi trovato,  sotto un fermo immagine dello sceneggiato “Il cacciatore”, in una didascalia che lo dice autore di “oltre venti omicidi”, torturatore, uno dei sequestratori del piccolo Di Matteo, sciolto nell’acido. Tutte falsità, assicura Di Filippo a a Salvo Palazzolo, su “la Repubblica”, professandosi colpevole “solo” di quattro omicidi.
Ma l’errore degli sceneggiatori non è di Alfonso Sabella, il giudice che “Il cacciatore” illustra – il titolo del serial è derivato dal libro di Sabella dieci anni fa, “Cacciatore di mafiosi”? Sabella non ha il milione che Di Filippo vuole come risarcimento?.

Di Filippo racconta a Palazzolo di un altro killer filosofo, che confessava quaranta omicidi. Il celebre pentito Spatuzza ne ha confessati cento. Tutti di mafiosi. A parte il centinaio di vittime eccellenti della stagione delle stragi di Riina, contro i giudici, i giornalisti, i carabinieri e i poliziotti non collusi, e qualche sacerdote, don Puglisi, la mafia è un mercato del crimine, in cui ogni banda fronteggia anzitutto bande concorrenti. Le vittime le attacca sul piano economico, rari gli assassinii. Un mondo asfittico, di cui non è impossibile fare pulizia, e non sarebbe neanche difficile.

La mafia istituzionale
A Roma la raccolta differenziata avviata nel 2014 ha funzionato, sui cassonetti, in strada: umido, indifferenziata, carta, vetro, plastica. Affidata per concorso alla 29 giugno, la cooperativa di ex carcerati creata dalla sinistra del Pci (Chiara Ingrao, Luigi Mancni e altri) di cui era da tempo animatore Buzzi, egli stesso ex carcerato. Condannato Buzzi per mafia, la 29 giugno non viene pagata dall’Ama, la municipalizzata di Roma per la nettezza urbana. La 29 giugno come tanti imprenditori privati, per esempio la grande impresa di costruzioni Astaldi, che non vengono pagate dal committente “Stato”, e vanno al fallimento. Dov’è la mafia?

La raccolta differenziata di Roma viene affidata alle quattro organizzazioni che Buzzi ha battuto nel 2014. Le stesse che lo hanno denunciato e fatto condannare per mafia. Mentre creavano e diffondevano foto di maiali in strada, e topi nei cassonetti. Sui media compiacenti. Le quali non raccolgono niente, se non episodicamente, oggi una strada, domani un prodotto. Cassonetti della carta e dei cartoni non sono stati svuotati per tre mesi. L’indifferenziata si svuota a settimane alterne.  Senza che nessuna foto o reportage sui cassonetti traboccanti di sporcizia venga più sui media. Dov’è la mafia?

Astaldi non è la sola impresa fallita per le inadempienze del committente pubblico. Soprattutto fra le piccole imprese, quelle che lavoravano alle opere pubbliche da tempo hanno dovuto in larga parte chiudere l’attività o riqualificarsi, perché non più in grado di lavorare. Il governo Renzi ha annunciato la liquidazione delle pendenze, due e tre anni di arretrati, ma a nessun effetto, si vede. Chiude l’attività chi non ha pagato il pizzo – non quello giusto? Continua chi paga, magari proteggendosi con denunce di mafia.

La Lombardia era povera

“Il mio cattolicesimo sociale, la cascina e i contadini analfabeti” è il titolo di una pagina di Paolo Bricco con Giuseppe Guzzetti, presidente della Fondazione Cariplo, sul “Sole 24 Ore” domenica. Sommario: “Vivevamo come nell’Albero degli Zoccoli. Le radici della lotta alla povertà della Fondazione Cariplo sono in questo mondo manzoniano”.

Guzzetti è del 1934, quindi parla del dopoguerra. Di questo dopoguerra. Esponente politico Dc, della corrente di Base, presidente della Regione Lombardia per due mandati, 1979-1987, senatore per due mandati, 1987-1992. Presiede la Fondazione della ex Cassa di Risparmio delle Province Lombarde, poi confluita in Intesa, che da sola, nella lunga gestione di Giordano Dell’Amore, altro vecchio Dc, economista, in un quarto di secolo, dal 1955, finanziò e irrobustì ben 350 mila imprese. Un radicamento che la Fondazione continua: “Ci fidiamo di chi propone idee, non senza verifiche e controlli rigorosi sui progetti. Alla Fondazione spetta saper fare delle scelte. Più di 30 mila progetti, un impegno di oltre 3 miliardi. Un gran lavoro”.
Non ci sono misteri nei miracoli, non in quelli economici: giusto intelligenza e applicazione. Negli stessi anni il Sud ha perso quanto reddito? E quanto patrimonio, in capitali e in conoscenze? Pur essendo molto più favorito dalla natura della Lombardia profonda, che è semipaludosa e continentale, chiusa.
“A Saronno”, ricorda Guzzetti dell’infanzia, “c’erano il santuario della Madonna, i mercati delle stoffe e il boario. Il mediatore avvicinava i prezzi e le mani di chi vendeva e di chi comprava. Quando riusciva a far sovrapporre le mani dei due, l’accordo era siglato. Il codice d’onore era fondato sulla parola data. Io vengo da lì”. E alla Fondazione non cancella e non abbatte, costruisce sul costruito. A Bricco prospettando come nuova, nel progetto Housing Sociale, la cascina: “Le grandi cascine della Pianura Padana. In ognuna decine di famiglie. Le stalle. I portici per i carri. L’osteria. Qualche volta la chiesa”. Modernità non è distruggere.
“La vita era come nell’Albero degli Zoccoli di Olmi. Da bambino ho visto i preti difendere i contadini analfabeti”. I preti hanno un ruolo in Lombardia – analogo a quello che i socialisti e i comunisti hanno avuto in Emilia-Romagna: “I preti inventarono le mutue sanitarie, le cooperative di consumo per far credito ai contadini tra un raccolto e l’altro e anche la cooperativa della vacca morta. La mucca era importantissima, per un contadino. Forniva il latte, il burro, i vitelli. Se una mucca moriva, era un dramma. Se era commestibile la cooperativa organizzava la sua vendita. Ogni famiglia si impegnava ad acquistare una porzione, impacchettata in carta gialla. La pelle era venduta. Il ricavato era per vivere e per comprare una nuova mucca”.
Guzzetti spiega il miracolo con la Provvidenza: “La Provvidenza, dottor Bricco. La c’è la Provvidenza! Di manzoniana memoria”. Ma più che il prete, o il commissario politico, conta saperci fare.

leuzzi@antiit.eu

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